In lode della Guerra fredda by Sergio Romano

In lode della Guerra fredda by Sergio Romano

autore:Sergio Romano
La lingua: ita
Format: epub
Tags: ebook
editore: Longanesi & C.
pubblicato: 2015-03-27T04:00:00+00:00


L’ALLARGAMENTO DELLA NATO,

L’11 SETTEMBRE E IL PATRIOT ACT

Ma il dato più significativo e inquietante nell’evoluzione della politica americana dopo la fine della Guerra fredda fu l’allargamento della Nato. La guerra del Kosovo coincise con l’ingresso nell’organizzazione di tre Paesi che avevano fatto parte del Patto di Varsavia: Polonia, Ungheria e Repubblica ceca. Nel decennio successivo, fra il 2004 e il 2009, arrivarono altri vecchi soci del Patto (Bulgaria, Romania, Slovacchia), tre Paesi che avevano fatto parte dell’Unione Sovietica (Estonia, Lituania, Lettonia), due pezzi di Jugoslavia (Slovenia, Croazia) e persino un Paese, l’Albania, che negli anni della Guerra fredda era stato più vicino a Pechino che a Mosca. Non bastava. Al vertice di Bucarest del 2008 gli americani proposero che l’organizzazione si allargasse sino a comprendere altri due Paesi che avevano fatto parte dell’Impero zarista e dell’Unione Sovietica: Ucraina e Georgia.

Questa politica non dipendeva dal colore della presidenza americana. Era stata democratica con Clinton, repubblicana con Bush jr e ancora democratica, anche se più cautamente, con Obama. Nei giornali, nei salotti politici e nei think-tanks, i maggiori fabbricanti delle sue formule mediatiche e dei suoi disegni strategici erano i neoconservatori. Qualche anno prima, per incarico di un uomo politico israeliano (Benjamin Netanyahu), avevano scritto un rapporto sul Medio Oriente intitolato «Una chiara rottura, una nuova strategia per realizzare il dominio», in cui avevano individuato alcuni Paesi (l’Iraq di Saddam Hussein, la Siria della famiglia Assad, l’Iran degli ayatollah) che venivano definiti rogue States, Stati canaglia, ed erano considerati un ostacolo alla «normalizzazione» della regione.

Nell’ottica dei neoconservatori, se gli Stati Uniti fossero riusciti a provocare un cambio di regime a Baghdad, Damasco e Teheran, la regione, soggetta ormai all’egemonia congiunta degli Stati Uniti e di Israele, sarebbe stata finalmente «pacificata». Durante la Guerra fredda alcuni interventi aggressivi in un’area molto più vicina alla Russia che agli Stati Uniti sarebbero stati impossibili. Mosca non lo avrebbe tollerato e avrebbe reagito. Ma negli anni Novanta, dopo la fine della Guerra fredda e la disintegrazione dell’Unione Sovietica, questa prospettiva era più improbabile. Occorreva tuttavia che alla Casa Bianca vi fosse un uomo disposto ad ascoltare i loro consigli. George W. Bush, eletto nel novembre del 2000 ed entrato alla Casa Bianca nel gennaio del 2001, aveva nella sua amministrazione due falchi – Dick Cheney alla vicepresidenza, Donald Rumsfeld al Dipartimento della Difesa – e si sarebbe circondato di molti neoconservatori. Ma non credo che in circostanze normali si sarebbe spinto sino a adottare il loro programma. Quando i caccia dell’aviazione militare cinese costrinsero un aereo spia americano ad atterrare in un’isola della Repubblica popolare, nella primavera del 2001, Bush, nonostante le strida dei falchi, trattò la questione con prudenza e recuperò l’aereo soltanto dopo avere permesso ai cinesi di saccheggiare i suoi dispositivi elettronici.

L’occasione ricercata dai neoconservatori venne l’11 settembre 2001. L’attacco terroristico alle Torri gemelle non fu soltanto il più clamoroso, spettacolare e sanguinoso atto terroristico trasmesso in diretta sugli schermi della televisione globale. Fu per gli americani la dimostrazione che il loro Paese,



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