In un piccolo cielo by Paul Yoon

autore:Paul Yoon [Yoon, Paul]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Bollati Boringhieri
pubblicato: 2020-03-28T23:00:00+00:00

L’autobus diretto a nord era piccolo, un furgone militare convertito che puzzava di fieno marcio, e quando entrò in stazione Prany affrettò il passo. Anche l’anziano che aveva aspettato sulla panchina per tutto quel tempo si alzò. Si sedettero uno di fronte all’altro nel buio. Erano gli unici.

Prany continuava a tremare e aveva il fiato corto. Cercò di dormire, ma quando chiudeva gli occhi rivedeva le braccia dell’uomo stranamente flosce sul pavimento, gli asciugamani intorno a lui come se un muschio chiaro fosse cresciuto sul suo corpo. Quando il furgone accelerò per superare una buca credette di vomitare, ma la nausea passò. Si costrinse a stare sveglio concentrandosi sulla sottile striscia di strada che sfrecciava via attraverso una fessura nel telone: i margini dei campi, un cartellone guizzante, la coda di un grosso animale, il sole al tramonto.

Era colpito dal rumore impetuoso dell’aria e dal frastuono del pianale. Era anche consapevole dell’altro passeggero sul furgone insieme a lui. Nell’ombra cercò la sagoma dell’anziano di fronte a sé ma non la trovò. Si chiese se avesse cambiato posto. Se adesso la spalla dell’uomo fosse a un soffio dalla sua. Chi era quel vecchio? Che vita aveva vissuto negli ultimi sette anni? Dovette soffocare il desiderio improvviso di sferrare un colpo con il braccio, nel buio, e saltare. Quando era convinto che lo avrebbe fatto, che non avrebbe resistito un secondo di più, il furgone si fermò alla stazione successiva e Prany balzò giù, attraversò il parcheggio e prese un altro autobus.

Stava seguendo le istruzioni di Auntie. Quei racconti bisbigliati dagli altri prigionieri che di tanto in tanto avevano passato loro qualche informazione. Poteva contare solo su quelle. Con il passare delle ore, mentre continuava a viaggiare restando sveglio, si aspettava di sentire il tocco di qualcuno accanto a lui, una voce. O che l’autobus si fermasse, che comparisse un’auto dietro di loro, uno sbarramento o un posto di blocco. Colpi di pistola. Qualcuno che lo trascinava via.

Ma l’unica cosa in cui si imbatté fu un gruppo di soldati raccolti a bordo strada, con indosso le stesse uniformi verdi delle guardie alla prigione, che ignorarono l’autobus di passaggio. Prima che i soldati svanissero, guardando dalla fessura nel telone li vide stringersi intorno a un contadino in ginocchio nell’erba con i polsi legati.

Era sera quando arrivò a Phonsavan. Fu l’unico a scendere dall’autobus. Lasciò la stazione e si diresse verso il centro, sperando di riconoscere qualcosa in una città che forse era stata ricostruita e si era ripresa. Invece era desolata, quasi inesistente, con solo quel che restava dei campi. Erano spariti anche i carri armati abbandonati. C’erano crateri sul ciglio della strada e macerie ovunque, più di quante ne ricordasse: gli scheletri smantellati di quelle che un tempo erano case, la scuola, la testa spaccata di un Buddha riversa su un lato, con un unico occhio enorme e vacuo che lo fissava.

Più avanti c’era un solo edificio di mattoni intatto. Il cortile era disseminato di taniche di plastica. Stava per passare oltre, poi si ricordò che era l’ospedale cittadino.

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