Inter Nos by Beppe Severgnini

Inter Nos by Beppe Severgnini

autore:Beppe Severgnini [Severgnini, Beppe]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Solferino
pubblicato: 2021-05-11T16:00:00+00:00


Lasciate in pace San Siro

«Siamo i luoghi che abbiamo attraversato. Un minuto, un’ora, un giorno. Siamo la casa che abbiamo abitato, la strada percorsa, la terra solcata. Siamo le stanze, i corridoi, i cortili di una vita. […] Siamo lo stadio. Non uno qualunque, siamo San Siro. È come se ci fossimo nati.»

Che bello l’attacco di C’era una volta a San Siro, di Gianfelice Facchetti, figlio di Giacinto e di Giovanna. Perché ci riporta, con cuore, al cuore di una questione del cuore: lo stadio dell’Inter e del Milan, e quello che rappresenta. Nessuno sa cosa accadrà. Le due società, le proprietà straniere, il Comune di Milano, gli investitori e gli architetti, gli sponsor e i tifosi: se ne discute dal 2013. All’inizio Inter e Milan avevano idee diverse, nel 2019 le due società avrebbero deciso di costruire, a poca distanza, uno stadio più piccolo, funzionale, redditizio. San Siro? Per i concerti, magari. Oppure lo buttano giù.

San Siro è la cattedrale della nostra pazza fede: vale per noi, vale per i rossoneri. Ognuno ricorda quando ci ha messo piede per la prima volta. Quando, in cima alle scale, ha visto il verde smeraldo dell’erba e l’esplosione di colori intorno. A me è successo una domenica di aprile del 1967, avevo 10 anni. Inter-Lazio. Finì zero a zero. Ricordo le punizioni di Suárez, le corse di Domenghini, i calzettoni abbassati di Mariolino Corso. Ricordo il moto perpetuo di Mauro Bicicli, di Crema come me, e il centravanti Cappellini, che invece era di Soncino. Ricordo il portiere laziale Idilio Cei, che aveva l’aspetto florido di un mediatore di carni e indossava uno strano cappellino. Mi aveva portato allo stadio un cugino, Pierangelo, molto più grande di me. Non avevamo grande confidenza, ma lui – milanista – aveva deciso di farmi un regalo.

È retorica? No, è memoria ed è affetto, cose ben diverse. San Siro sono le partite in notturna con gli amici, i pomeriggi con Antonio da bambino, il panino con la salamella prima di entrare, Ronaldo che dal terzo anello sembrava piccolissimo. Sono le partite di Champions, la corse di Oba Oba Martins, le palpitazioni e i saluti per le scale – vecchie, spoglie, a ricordare che il calcio è essenziale – con Javi e Paula Zanetti. E i Moratti, sempre educati e cordiali: la tribuna era il loro salotto, e si comportavano di conseguenza.

San Siro ha aperto, nel quartiere da cui prende il nome, il 19 settembre 1926, con una partita amichevole fra Inter e Milan (vinse l’Inter sei a tre). Dal 1980 è intitolato a Giuseppe Meazza, gloria azzurra e nerazzurra, soprattutto. Chiedete ai giocatori, ai dirigenti, ai giornalisti sportivi: è uno degli stadi più fascinosi del mondo. Negli anni è stato alzato, allargato, coperto, ripulito, ma certo: resta uno stadio che sta per compiere un secolo. Il calcio cambia. Gli inglesi, che l’hanno inventato, hanno buttato giù e rifatto Wembley, l’Arsenal ha abbandonato Highbury, il Tottenham non gioca più a White Hart Lane, l’Everton lascerà presto Goodison Park.



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