Isabelle by André Gide

Isabelle by André Gide

autore:André Gide [Gide, André]
La lingua: ita
Format: epub
editore: RIZZOLI LIBRI
pubblicato: 2022-06-22T12:00:00+00:00


Capitolo V

Quattro giorni dopo ero ancora alla Quartfourche, meno angosciato che il terzo giorno, ma più stanco. Non avevo scoperto niente di nuovo, né negli avvenimenti di ogni giorno, né nelle parole dei miei ospiti. Già sentivo la mia curiosità morire d’inedia. Bisogna dunque rinunciare ad altre scoperte, pensai, preparandomi di nuovo alla partenza; intorno a me, tutto si rifiuta d’illuminarmi. L’abate fa il muto dopo che gli ho lasciato capire quanto mi interessa quello che sa; mano mano che Casimir mi dimostra più confidenza, mi sento più impacciato davanti a lui; non oso più interrogarlo e, d’altronde, adesso so tutto ciò che mi potrebbe dire: niente di più di quanto mi disse il giorno in cui mi mostrò il ritratto.

Eppure sì: innocentemente il fanciullo mi aveva detto il nome di sua madre. Certamente ero pazzo a esaltarmi così per un’immagine ingannevole, probabilmente vecchia di più di quindici anni; e anche se Isabelle di Saint-Auréol, durante il mio soggiorno alla Quartfourche, avesse arrischiato una delle sue fuggevoli apparizioni, alle quali ora la sapevo abituata, senza dubbio io non avrei potuto né osato trovarmi sul suo passaggio. Non importa; il mio pensiero, improvvisamente tutto preso di lei, mi strappava dalla noia; quegli ultimi giorni erano fuggiti in una fuga alata e io mi stupivo che già la settimana fosse giunta al termine. Non c’era motivo perché restassi più a lungo presso i Floche, e il lavoro non mi offriva altri pretesti per trattenermi, ma ancora quell’ultima mattina io percorrevo il parco che l’autunno rendeva più vasto e sonoro, chiamando a mezza voce, e poi a voce più alta: «Isabelle!»... e quel nome che in principio non mi era piaciuto, si rivestiva adesso per me di eleganza, si impregnava di un fascino misterioso... Isabelle di Saint-Auréol! Isabelle! Immaginavo di vedere il suo abito bianco fuggire alla svolta di ogni viale; attraverso il mutevole fogliame, ogni raggio ricordava il suo sguardo, il suo sorriso malinconico e, siccome ancora ignoravo l’Amore, immaginavo di amare, e, felice di essere innamorato, mi analizzavo con compiacimento.

Com’era bello il parco, e come nobilmente si prestava alla malinconia della stagione in declino. Respiravo inebriato l’odore del muschio e delle foglie imputridite. I grandi castagni rossi, già mezzo spogli, piegavano i rami sino a terra; certi cespugli imporporati brillavano attraverso l’acquazzone; l’erba vicino a loro prendeva un verde squillante. C’era qualche pianta di colchico, nei prati del giardino; un po’ più in basso, nella valletta, una prateria ne era rosa: la si scorgeva dalla cava dove, quando non pioveva più, andavo a sedermi, su quella stessa pietra dove mi ero seduto il primo giorno con Casimir e dove, forse, sognatrice, la signorina di Saint-Auréol si era seduta non molto prima... e immaginavo di esserle seduto accanto.

Casimir mi accompagnava spesso, ma io preferivo passeggiare solo. E quasi ogni giorno la pioggia mi sorprendeva in giardino. Inzuppato, rientravo ad asciugarmi al camino della cucina. Né la cuoca né Gratien mi avevano in simpatia. I miei ripetuti incoraggiamenti non erano riusciti a strappar loro tre parole.



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