Jünger Ernst - 1936 - Ludi africani by Jünger Ernst

autore:Jünger Ernst [Jünger Ernst]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Fiction, Biographical, Classics, General
ISBN: 9788823525382
Google: zD6jDwAAQBAJ
editore: Guanda
pubblicato: 2019-08-20T22:00:00+00:00

15

Sebbene i beoni nel frattempo ne combinassero di tutti i colori, avevo ascoltato attentamente, inserendo ogni tanto qualche domanda. Le ultime frasi non le avevo capite, anche se il loro contenuto mi è rimasto impresso. Benoit era un uomo semplice, ma aveva visto cose singolari. Aveva guardato dentro la sfera di cristallo. Se avesse posseduto il linguaggio dei filosofi, allora avrebbe potuto descrivere per esperienza ciò cui essi aspirano nelle loro speculazioni.

L’elogio dell’oppio m’aveva incuriosito, ma solo come quando ci accade di desiderare strane pietanze che vediamo sulle mense altrui. In fondo però mi pareva insensato addentrarsi in paesi tanto lontani, per poi calarsi un velo dinanzi agli occhi. Veramente anch’io intendevo vivere esperienze straordinarie, realmente e in piena coscienza come quel tale che si morde il dito per accertarsi di non star sognando.

Nonostante ciò Benoit disponeva di una forza interiore, che non fallisce il proprio effetto sui giovani. Probabilmente in ogni vita appare una volta l’estraneo fantastico, a esibire le sue arti magiche. Questi aveva qualcosa dei maghi che nelle fiere invitano a entrare sotto alle tende velate, tuttavia gli mancava la ciarlataneria. Piuttosto si aveva l’impressione che sapesse più di quanto riusciva a esprimere a parole; sopperiva a questa mancanza con l’intonazione della voce e con lo sguardo. Alcune sue frasi m’avevano suscitato l’immagine di rovine artificialmente illuminate, in altre avevo creduto riconoscere i contorcimenti del serpente. Inoltre l’opinione che di lui m’ero fatta a prima vista s’era ancora rafforzata. Non era di stampo comune, era a caccia d’immagini che sfuggono al senso normale. Si avvertiva anche l’esistenza d’un punto, dal quale egli sapeva comandare i propri movimenti e se falliva, era lui stesso ad affondare la sua nave. In quel forte era indubbiamente lo spirito di maggior rilievo.

Già di prima mattina il sottufficiale di cucina comparve con un piccolo seguito, per rintracciare il suo bidone, naturalmente da tempo sprofondato negli abissi marini. Appena scorse quelle figure distese sulle brande come otri pieni e che al suo ingresso avevano cominciato a russare ad arte, parve capire all’istante dove fosse finito il contenuto. Bestemmiando e cacciandosi le mani nei capelli, fece piantonare la porta, annunciando che ci avrebbe fatto ripulire la latrina sotto alla grande torre, riducendoci in tale stato da farci rinnegare dai nostri genitori.

Già in quest’occasione la conoscenza di Benoit si dimostrò utile. Mi afferrò per il braccio e, dopo aver scambiato qualche scherzo col piantone, mi condusse fuori della porta. Aveva un modo di fare che definiva come il suo passepartout.

Ci recammo alla mensa per la colazione e poi, fino all’ora della visita, passeggiammo lungo i bastioni. Durante questa passeggiata Benoit raccontò delle farfalle nella giungla e delle piccole annamite; inoltre venne a parlare della differenza che corre tra il bestemmiare europeo e quello cinese, spiegandolo in modo tale da rivelarsi non solo quale conoscitore di lingue, ma anche degli abissi dell’animo umano.

In una grande sala della caserma ritrovammo la compagnia della sera prima; se ne stavano lungo i muri occupati in smorfie e buffonate grottesche e venivano sorvegliati dal caporale svizzero e da alcune sentinelle.

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