La città degli Assassini. Il sangue del Doge by Jon Courtenay Grimwood

autore:Jon Courtenay Grimwood
La lingua: it
Format: mobi, epub
editore: Newton Compton
pubblicato: 2013-01-07T23:00:00+00:00

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Desdaio era l’unica che in certa misura era in grado di domarlo, e chiese timidamente ad Attilo se potesse smettere di chiamare Tycho “quella creatura”. Fu lei a proporre, dal momento che la luce lo spaventava, con o senza unguento magico, che gli venissero riservati solo compiti che dovevano essere svolti di notte.

E Attilo, che ponderava ogni parola dicesse e giudicava gli altri in base a ciò che intendevano dire piuttosto che in base a ciò che dicevano, considerò quelle parole e si rese conto che intendeva dire esattamente quello che aveva detto, stupefatto da quanto questa scoperta lo avesse toccato.

Le prerogative di essere anziano erano il sentimentalismo e la crudeltà. A volte si domandava se fosse tutto ciò che gli era rimasto.

Desdaio non avrebbe mai aperto la porta di Tycho se avesse saputo che aveva intenzione di ucciderla per vendicare la morte di Rosalina. E Tycho non si sarebbe mai ritrovato con la possibilità di farlo. Per poi scoprire di non averne il desiderio.

La sua guerra, la guerra di Tycho, era con Attilo, che era fuori casa a fare qualsiasi cosa dovesse fare quando rinchiuse il ragazzo nella cantina e lasciò Desdaio da sola con i propri arazzi.

«Attilo dice che dovrei diffidare di te…».

«Di me?», chiese Tycho una volta giunto al piano nobile di Ca’ il Moro e ai suoi alti soffitti. Entrando fece un inchino, ma poi si rese conto che non c’era nessun altro. Sola, priva di difese, con indosso un abito che le copriva appena i seni. Si sedette vicino a un enorme camino, con un pezzo di stoffa da ricamare in grembo. Sul tavolo accanto alla panca su cui sedeva c’erano vino, bicchieri, pane e formaggio. Aveva il viso arrossato dal fuoco e dal troppo vino.

«E in effetti ho un po’ paura», disse. «È sciocco da parte mia?».

Tycho aspettò di capire cosa volesse. Alla fine si accorse che voleva fare amicizia. Dal momento che lui era uno schiavo e lei era più ricca di quanto lui potesse anche solo immaginare, si domandò perché fosse l’unico a pensare che ciò era del tutto stupido.

«Cosa hai fatto questa mattina?».

Ho pugnalato cadaveri in una camera mortuaria finché il coltello non ha perso l’affilatura e i cadaveri non erano tritati… Quasi quasi aveva voglia di dirglielo, per vedere la sua reazione. Ore trascorse a imparare dove pugnalare, seguite da ore a fare pratica su corpi di mendicanti, criminali e stranieri. Gente senza amici.

«Be’?», chiese lei.

«Ho studiato con don Attilo».

Desdaio sospirò. «Questo lo so. Cosa hai studiato?»

«Chiedetelo a lui, mia signora».

«Lo sto chiedendo a te». Era raro che lei aggrottasse le sopracciglia. Così raro che il suo viso sembrava avere qualcosa che non andasse. Le narici le si allargarono, le labbra le si assottigliarono e ai lati della bocca comparvero delle rughe.

«Mia signora», disse lui con cautela. «Non mi è permesso raccontarvelo».

«È stato Attilo a dirtelo?»

«Sì, mia signora». Gli aveva detto con precisione cosa sarebbe successo se Desdaio avesse scoperto degli Assassini attraverso di lui. Ma non gli era permesso di riferire neppure quello.

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