La ferita dell'aprile by Vincenzo Consolo

La ferita dell'aprile by Vincenzo Consolo

autore:Vincenzo Consolo [Consolo, Vincenzo]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Mondadori
pubblicato: 2021-02-09T12:00:00+00:00


VI

Un grido di Caterina mi buttò fuori dal sonno, facendomi imprecare. E ancora la luce, le donne al salatoio, le voci alle paranze: era cos’era, l’età o la stagione, avrei dormito fino a mezzogiorno.

Ora mi zoccolava dietro la porta con le scarpe di legno di sua madre, pestava forte per la mala rema. La prima volta era? Ah, fosse un’ora mia sorella!

«O ma’...»

E sua madre sbatteva i piatti dentro il lemmo, sempre quei nervi la mattina, sempre ce l’aveva con qualcuno e la notte pareva s’era acchiappata con la gente.

«Punta maligna» le rispondeva sorda in mezzo ai denti.

«O ma’...»

«Punta maligna!»

«Ma’, ma’, maaa’...» e pestò forte che fece tremare le gìcare dentro la vetrina.

«Punta maligna!!» gridò la madre correndo per ghermirla. «Morte subitanea! Aspetta, disgraziata, aspetta...»

La ragazza aprì la porta, s’infilò nella mia stanza e chiuse a chiave. Mi trovò in piedi sopra il letto, mi scorse tutto e rigirò le spalle.

Mi disse adagio:

«Ma ti pare ch’è arrivata già l’estate?»

Mi stirai di nuovo dentro il letto, la roba fino al mento.

«E tu perché t’infili all’improvviso?»

«Mi pesta.»

«Ma che vuoi?»

«La veste nuova, a Pasqua.»

«Apri, malerba, apri. Guarda, ti sfregio stamattina!» gridava la padrona dietro la porta sforzando la maniglia.

«E tu vattene.»

«Apri, ti dissi!»

Caterina diede uno sguardo a me, girò la chiave e sua madre irruppe nella stanza come un luponario.

«Tie’, tie’, pazza! Na cagna m’aveva da nascere quando spuntasti tu!» e gliele dava forte con tutta la sua bile, pugni sulla groppa, contro i fianchi, sciolti i capelli, schiumosa e paonazza come vedova dietro il mortorio o pellegrina quando passa il santo.

Le grida di Caterina, ciambellotta sopra il pavimento, parevano di sirena, di vitella primaiola. S’ero vestito, sarei corso a liberarla.

«Alzati, tu, mangia pane a tradimento! Don Peppe ti tiene qua a fare il papa? Non vedi ch’è l’orario di scuola?»

Caterina rimase dietro la porta, sfinita per il pianto e per le grida: pareva il pavimento l’inghiottiva, molle com’era e abbandonata, senza respiro, senza movimento. Non s’accorgeva neanche della veste tutta arrotolata fino alla vita.

«Te ne vai?» le dissi.

«No» fece, dura.

«Mi devo alzare.»

Non mi rispose.

Dopo che legai i libri, volevo scavalcare Caterina per uscire, ma mi fermò quel solco nella vita, quel chiaro sopra i ginocchi, pieno; e le spalle, il collo, la testa chiusa nel cerchio delle braccia.

«Caterina.»

Lei non si mosse, faceva la finta morta. Le toccai i capelli e allora si scosse, s’accorse, e invece di stupirsi, invece di rizzarsi, calò la veste lentamente con la mano guardandomi sicura per sfidarmi. Aveva il viso bianco e gli occhi neri, fondi e viola: un altro viso aveva Caterina.

Vado vado, la marina la strada la piazza, chiesa cortile e scuola, sempre quel chiaro, pieno, e gli occhi, nero posato su viola. Mai m’era venuta in mente fino ad ora, mai l’avevo pensata Caterina, o ci giocavo nella stanza, litigavo per i fogli strappati nel quaderno e le firme sopra i libri, o la stringevo fitta fitta per la vita o le mandavo giù la testa per il collo e lei rideva. Niente più



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