La fine dell'era del fuoco by Martín Caparrós

La fine dell'era del fuoco by Martín Caparrós

autore:Martín Caparrós [Caparrós, Martín]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Einaudi
pubblicato: 2021-05-14T12:00:00+00:00


Odore di marca

Non è facile tapparsi il naso: quelli che ci provano di solito se la passano male. Gli odori stanno lí, s’insinuano, s’impongono. E tendenzialmente sentiamo odori a caso. Nelle strade di qualsiasi città vediamo forme e colori che qualcuno ha ideato – nelle case, sui vestiti, sui manifesti –, sentiamo suoni che qualcuno ha prodotto – dagli altoparlanti, dalle macchine, dagli auricolari –, ma ciò che annusiamo di solito nasce da solo: movimenti spontanei.

Fatta eccezione, ovvio, per i profumi. Esistono profumi per le persone – che non li spruzzano piú per dissimulare quanto sono sporche ma per dare informazioni su quello che sono o che vorrebbero essere –; profumi per ambienti – che usiamo, quelli sí, quando non ci piace l’odore che ha l’ambiente. È chiaro quali odori detestiamo: marciume, escrementi, cibo andato a male, mozziconi di sigaretta, fluidi corporei. E quelli che ci piacciono: Madre Natura, Casa Dolce Casa, Tutto Bello Pulito. Spesso la natura ha un lezzo terribile, come sa chiunque sia stato, per esempio, nella zona dell’Empordà d’estate, e la casa è il posto in cui cerchiamo di nascondere la puzza con quei profumi, ma gli odori che ci offrono le macchine dell’odore – «profumatori d’ambiente» – di solito si vantano di essere aromi naturali o riflessi di una felice casa igienizzata. Uno studio inglese li ha censiti: gli odori piú richiesti sono pane appena sfornato, lenzuola fresche di bucato, erba tagliata, fiori freschi, caffè, terra bagnata, vaniglia, cioccolato – e infine, molto british, fish&chips.

Ma adesso ci dicono che l’odore non è stato sfruttato abbastanza per lo scopo principale: vendere. Gli esperti di marketing hanno scoperto che nelle nostre vite non c’è piú molto spazio per altri segnali visivi – ogni colore, ogni forma rappresentano troppi marchi per un pubblico saturo – o uditivi – in un mondo pieno zeppo di suoni – e inoltre si possono ignorare i cartelloni pubblicitari o isolarsi con le cuffie, ma è impossibile non annusare, cosí si sono ricordati del buon vecchio Proust e della sua famosa madeleine. Nessun senso ha un potere evocativo forte quanto l’olfatto. Diversi studi sono arrivati a strane cifre: sembra che le persone ricordino l’1 per cento di quello che toccano, il 2 per cento di quello che sentono, il 5 per cento di quello che vedono e il 35 per cento di quello che percepiscono con l’olfatto, quindi, per attirarle, bisogna andare giú di odori.

Il trucco è vecchio: lo può confermare chiunque sia passato davanti a un fornaio la mattina. O quelli che sanno che i concessionari di auto usate ci spruzzano sopra uno spray che sa di automobile nuova. Ma il lavoro degli esperti di marketing consiste nel dare nomi nuovi alle cose vecchie, e cosí uno di loro ha ribattezzato la questione. In inglese, ovvio: olfactory branding, che si potrebbe tradurre come «marchio olfattivo» o, riprendendo l’«immagine del marchio», «odore del marchio». Il colpevole del neologismo è un indiano, Shuvam Chatterjee, della Regent Education & Research Foundation, che ha pubblicato un articolo dove lo definisce «l’ultima frontiera del marketing».



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