La Giara by Luigi Pirandello

La Giara by Luigi Pirandello

autore:Luigi Pirandello [Pirandello, Luigi]
La lingua: ita
Format: epub
pubblicato: 2011-07-24T20:39:25.015061+00:00


Perazzetti? No. Quello poi era un genere particolare. Le diceva serio serio, che non pareva nemmeno lui, guardandosi le unghie adunche lunghissime, di cui aveva la cura più meticolosa. È vero che poi, tutt'a un tratto, senz'alcuna ragione apparente... un'anatra, ecco, tal'e quale! scoppiava in certe risate, che parevano il verso di un'anatra; e ci guazzava dentro, proprio come un'anatra. Moltissimi trovavano appunto in queste risate la prova più lampante della pazzia di Perazzetti. Nel vederlo torcere con le lagrime agli occhi, gli amici gli domandavano: - Ma perché? E lui: - Niente. Non ve lo posso dire. A veder ridere uno così, senza che voglia dirne la ragione, si resta sconcertati, con un certo viso da scemi si resta e una certa irritazione in corpo, che nei così detti «urtati di nervi» può diventar facilmente stizza feroce e voglia di sgraffiare. Non potendo sgraffiare, i così detti «urtati di nervi» (che sono poi tanti, oggidì) si scrollavano rabbiosamente e dicevano di Perazzetti: - È pazzo! Se Perazzetti, invece, avesse detto loro la ragione di quel suo anatrare... Ma non la poteva dire, spesso, Perazzetti; veramente non la poteva dire. Aveva una fantasia mobilissima e quanto mai capricciosa, la quale, alla vista della gente, si sbizzarriva a destargli dentro, senza ch'egli lo volesse, le più stravaganti immagini e guizzi di comicissimi aspetti inesprimibile; a scoprirgli d'un subito certe strane, riposte analogie, a rappresentargli improvvisamente certi contrasti così grotteschi e buffi, che la risata gli scattava irrefrenabile. Come comunicare altrui il giuoco istantaneo di queste fuggevoli immagini impensate? Sapeva bene Perazzetti, per propria esperienza, quanto in ogni uomo il fondo dell'essere sia diverso dalle fittizie interpretazioni che ciascuno se ne dà spontaneamente, o per inconscia finzione, per quel bisogno di crederci o d'esser creduti diversi da quel che siamo, o per imitazione degli altri, o per le necessità e le convenienze sociali. Su questo fondo dell'essere egli aveva fatto studii particolari. Lo chiamava l'«antro della bestia». E intendeva della bestia originaria acquattata dentro a ciascuno di noi, sotto tutti gli strati di coscienza, che gli si sono a mano a mano sovrapposti con gli anni. L'uomo, diceva Perazzetti, a toccarlo, a solleticarlo in questo o in quello strato, risponde con inchini, con sorrisi, porge la mano, dice buon giorno e buona sera, dà magari in prestito cento lire; ma guai ad andarlo a stuzzicare laggiù, nell'antro della bestia: scappa fuori il ladro, il farabutto, l'assassino. È vero che, dopo tanti secoli di civiltà, molti nel loro antro ospitano ormai una bestia troppo mortificata: un porco, per esempio, che si dice ogni sera il rosario. In trattoria, Perazzetti studiava le impazienze raffrenate degli avventori. Fuori, la creanza; dentro, l'asino che voleva subito la biada. E si divertiva un mondo a immaginare tutte le razze di bestie rintanate negli antri degli uomini di sua conoscenza: quello aveva certo dentro un formichiere e quello un porcospino e quell'altro un pollo d'India, e così via. Spesso però le risate di Perazzetti avevano una ragione, dirò



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