La grande invenzione by Silvia Ferrara

La grande invenzione by Silvia Ferrara

autore:Silvia Ferrara [Ferrara, Silvia]
La lingua: eng
Format: epub
editore: Feltrinelli Editore
pubblicato: 2019-10-18T10:36:09+00:00


20. Stele di un “danzante” di Monte Albán, Messico.

Ma lo zapoteco non ci basta. C’è un suo cugino, pochi chilometri a nord, a darci un bel grattacapo. La scrittura si chiama “istmiana”. Il nome non è molto fantasioso ma rende l’idea, perché proviene dall’Istmo di Tehuantepec nel Sud del Messico, nell’area di distanza minima tra il Golfo del Messico e l’Oceano Pacifico. Un serpente di terra lambito dal mare. La scrittura istmiana viene anche chiamata, impropriamente, epi-olmeca, perché si sostiene possa essere derivata dalla precedente cultura olmeca, che fa da sostrato e inizia a fiorire già dal 1500 a.C. Ma il termine è fuorviante: è come se chiamassimo gli Etruschi “epi-Romani”. Meglio allora darle un nome geografico neutro e chiamarla “istmiana”.

Però la fase olmeca precedente (in insediamenti come La Venta e San Lorenzo) segna varie tradizioni che dureranno nel tempo, fino alla civiltà maya successiva. Sugli Olmechi dobbiamo raccontare due cose, perché sono tradizioni importanti che rimarranno vive per secoli e adottate con ardore dai Maya. La prima è il loro amore sperticato per il sangue sparso. Non erano violenti, almeno non secondo i nostri canoni, ma per loro far scorrere sangue era importantissimo. Tagliare peni e lingue in pubblico era una cerimonia simbolica potente, per conservare l’ordine sociale e cosmico. L’idea di base era mitica, da palingenesi. Gli dei avevano regalato la vita agli uomini, sacrificando parti del loro corpo e perdendo sangue, e dunque il sangue doveva tornare agli dei. Sangue voleva dire vita. Allora via libera a mutilazioni, torture e spargimenti.

La seconda cosa è più pedestre. Gli Olmechi avevano inventato il gioco della palla. Tradizione lunghissima che ancora oggi si gioca in quelle zone, ora il gioco si chiama ulama e non è tanto diverso dallo squash. Non dobbiamo immaginare però che fosse solo ricreativo. Il gioco aveva aspetti rituali e simbolici, a volte con sacrifici umani inclusi. Storicamente il sacrificio subentra dopo, nel periodo maya tardo, ma siamo sempre lì: era importante far scorrere sangue, anche quando si giocava a palla, in questo caso con appassionate decapitazioni. Le leggiamo nel testo Popol Vuh, che parla delle origini mitiche dei Maya Quiché del Guatemala, da cui traspare che forse usavano le teste decapitate come palle. Non siamo sicuri, ma sarebbe molto simpatico se così fosse.

La scrittura sembra partire dal clima olmeco delle palle, delle decapitazioni, del sangue. Ma lasciamo stare lo splatter. Anche in istmiano, come nella scrittura zapoteca, vediamo comparire il calendario. Nei pochi testi istmiani disponibili (sono una decina) troviamo indicazioni legate a computi e all’ordine del tempo, generi che nel periodo classico saranno diffusissimi. Per esempio, la statuina di Tuxtla (fig. 21). Guardatela bene. Ha dei testi, che hanno proprio l’apparenza dei glifi maya (ma non lo sono), scritti davanti, dietro e sui lati, e riportano dei numerali del lungo computo. Queste sono date.19 Le troviamo anche sulla stele C di Tres Zapotes, con una notazione del 32 a.C., e sulla splendida stele di La Mojarra, del secondo secolo dopo Cristo (fig. 22).

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