La guerra fredda. Nuova edizione (2015) by Mario Del Pero

La guerra fredda. Nuova edizione (2015) by Mario Del Pero

autore:Mario Del Pero [Pero, Mario Del]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Carocci


La caduta di Chruščëv e l’intervento sovietico a Praga

A dispetto del sostanziale miglioramento dei rapporti con gli Stati Uniti, evidenziato dalla ratifica del trattato sulla messa al bando degli esperimenti nucleari nell’atmosfera, Chruščëv si trovava sempre più isolato all’interno della gerarchia sovietica. L’indebolimento della sua posizione era causato in primo luogo dalla difficile situazione economica dell’URSS e dall’insuccesso degli ambiziosi piani di sviluppo agricolo adottati sotto la sua leadership.

Ma le critiche mosse a Chruščëv si indirizzavano anche verso il modo in cui egli aveva condotto la politica estera sovietica. Le obiezioni erano di tre tipi. In primo luogo, si riteneva che la sua politica di destalinizzazione e il suo sostegno al policentrismo fossero la causa delle numerose divisioni ormai presenti all’interno del movimento comunista internazionale e, soprattutto, dell’aperto dissidio creatosi con la Cina di Mao. In secondo luogo, Chruščëv veniva accusato di avere agito in maniera avventuristica. Infine, da più parti gli si addebitava la responsabilità del crollo del prestigio internazionale dell’URSS, conseguenza soprattutto della contraddittoria gestione della crisi dei missili cubani.

Nell’ottobre del 1964, Chruščëv fu rimosso dal suo incarico. La guida dell’Unione Sovietica passò nelle mani di un triumvirato che includeva il segretario del partito comunista, Leonid Brežnev, il primo ministro, Aleksej Kosygin, e il capo dello Stato, Nikolaj Podgornyj. Come già era avvenuto dopo la morte di Stalin, questo periodo di “leadership collettiva” non durò a lungo e Brežnev emerse rapidamente come il principale leader sovietico.

Chruščëv lasciò ai suoi successori un’eredità contraddittoria e ambivalente. Il suo impegno riformatore aveva avviato un importante processo di destalinizzazione sia in Unione Sovietica sia in Europa orientale. Al contempo, egli era riuscito a ottenere da parte dell’avversario americano quel riconoscimento di legittimità che rappresentava la premessa essenziale per superare il rigido bipolarismo della guerra fredda. La sua concezione competitiva della coesistenza pacifica aveva però finito per estendere l’antagonismo USA-URSS a teatri che fino ad allora vi erano rimasti estranei, portando i due paesi sulla soglia del conflitto nucleare e intensificando una corsa agli armamenti che appariva sempre meno controllabile.

I successori di Chruščëv adottarono la linea della coesistenza pacifica, anche se cercarono di conciliarla con il recupero della cautela che aveva caratterizzato la politica estera di Stalin. Sul piano politico interno, la nuova leadership sovietica promosse un’azione repressiva che, sia pure senza riprodurre gli eccessi dello stalinismo, colpì le forme di eterodossia emerse nel campo della politica e della cultura. Nella politica internazionale, invece, si assistette a una riduzione dell’attivismo sovietico, soprattutto nei paesi del Terzo Mondo. Essa si accompagnò al vano tentativo di ricucire lo strappo con la Cina.

La dirigenza sovietica era però convinta che il raggiungimento della parità strategica fosse assolutamente necessario e rappresentasse l’indispensabile complemento della prudenza che aveva improntato la politica estera di Mosca dopo la caduta di Chruščëv. Nella seconda metà degli anni sessanta, l’arsenale nucleare sovietico crebbe in maniera impressionante: tra il 1967 e il 1969, il numero di missili balistici intercontinentali (ICBM) passò da 500 a 1.140, quello di missili balistici in dotazione ai sommergibili (SLBM) crebbe da 100 a 185.



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