La libertà di andare dove voglio (Italian Edition) by Messner Reinhold

La libertà di andare dove voglio (Italian Edition) by Messner Reinhold

autore:Messner Reinhold
La lingua: ita
Format: azw3, epub
editore: Corbaccio
pubblicato: 2013-07-03T22:00:00+00:00


33.-Forse impossibile

Prima ascensione del Puncak Sumantri-Brogonegora

«Hu-hu-hu» era il grido che echeggiava dal lago Larsson mentre camminavo sotto il muro della parete nord. Era la mattina del 27 settembre 1971. La buia parete su cui quel-l’«hu-hu-hu» rimbalzava era avvolta nella nebbia. Solo qui e là brillava un po’ del ghiaccio che si diramava come una ragnatela nelle gole dell’imponente ammasso di calcare. Scendeva dalla cima della montagna, sotto forma di ghiacciai pensili.

La pioggia quotidiana non era ancora cominciata. Però l’aria era umida. Superai a salti le pozzanghere che riempivano ogni depressione del terreno piatto.

Mi ero mosso un’ora prima dal nostro campo in quota, vicino al passo di Nuova Zelanda. Ero sceso fino ai piedi della parete lungo un nuovo tracciato che avevo scovato due giorni prima.

Forse era impossibile salire in arrampicata libera lungo la verticale parete Sumantri. Quell’estate avevo fatto nelle Dolomiti alcune prime ascensioni e sapevo quindi di poter scalare ancora nonostante le amputazioni che avevo subito ai piedi. Non arrampicavo più bene come prima, ma arrampicavo ancora. La nuova via che avevo aperto sulla piccola punta della Rodella, nelle Dolomiti gardenesi, non era ancora stata ripetuta.

Qui però l’arrampicata estrema si proponeva in termini diversi: ed ero solo e senza corda. E sapevo che era l’ultima occasione che mi si offriva di scalare la più bella di tutte le pareti che c’erano in quel massiccio calcareo.

Il monotono «hu-hu-hu» dei portatori mi rammentò la discesa che ci aspettava: torrenti senza ponti, nella giungla, su tronchi d’albero bagnati e scivolosi; e poi la pioggia, il fango, le zanzare e le notti insonni nelle capanne piene di fumo dei portatori.

Salii verso l’attacco della parete passando su macchie d’erba e pietraie. Avevo con me una corda sottile e qualche chiodo. In caso di necessità, mi sarei potuto calare.

L’inizio non fu difficile: roccia da cui spuntavano ciuffi d’erba, fessure, qui e là qualche stretta fenditura. Mi riuscì facile la ricerca dei passaggi migliori. Dopo alcune centinaia di metri la parete divenne verticale. Seguendo un sistema di diedri e di fenditure riuscii a raggiungere l’ampia cengia sporgente sotto la metà della parete.

Nel frattempo si era messo a piovere. Del fango mi si raggrumò sotto le suole, tanto che dovetti muovermi con prudenza lungo la cengia. La metà superiore della parete era tutta avvolta nella nebbia, tanto da privarmi d’una visuale complessiva. Con un senso d’incertezza risalii un diedro in opposizione. Poi avanzai, centimetro dopo centimetro, in una stretta fessura e raggiunsi la testa di un pilastro.

Sulla destra si levava, verticale nell’ammasso grigio, uno spigolo giallo. Sopra di me sporgevano tetti neri. Il ghiacciaio pensile che s’interrompeva a piombo, a oriente della vetta, doveva essere sulla mia sinistra. Sentii infatti che si staccavano dei pezzi di ghiaccio. Tentai di salire obliquamente verso sinistra lungo una successione di diedri. Dopo venti metri dovetti tornare indietro. E non c’era nemmeno modo di salire diritti. Superando uno spigolo verticale, continui allora obliquamente verso destra. La roccia era ruvida e piena di sporgenze, come ne avevo trovata solo sulla Pala e nelle Alpi di Berchtesgaden.



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