La madre by Pearl S. Buck

La madre by Pearl S. Buck

autore:Pearl S. Buck [Buck, Pearl S.]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Narrativa
editore: Mondadori
pubblicato: 1937-12-31T16:00:00+00:00


XIII

La madre aveva raggiunto il quarantatreesimo anno d’età. Qualche volta, di notte, contando sulle dita gli anni ch’erano passati dalla partenza del padre dei suoi bambini, usava le dita di due mani, e due dita ancora. Gli anni durante i quali aveva fatto credere al villaggio che il marito era morto erano in numero maggiore delle dita di una mano.

Ma camminava sempre diritta, e si manteneva snella di corporatura, a differenza delle coetanee, le quali, come la moglie del cugino, e come la stessa comare maldicente, o ingrassavano terribilmente, oppure si trascuravano sino a divenire delle sciattone. La sua non era però una perfetta giovinezza. I seni le si impicciolirono e avvizzirono; e chi avesse osservato bene il suo volto alla piena luce del sole, avrebbe notato le rughe che le si infittivano attorno agli occhi, e la pelle fatta ruvida dal lungo lavoro dei campi. Anche i suoi movimenti, del resto, s’eran fatti più tardi. Non aveva più la sveltezza che aveva avuto sino al giorno in cui s’era dovuta liberare dal frutto del suo peccato. S’accorgeva anche lei dell’aumentato peso della sua persona quando era chiamata ad assistere partorienti – un caso, cotesto, che si verificava assai di frequente ora ch’era vedova, e contava fra le anziane. Una volta o due toccò alla stessa partoriente raccogliere il neonato. Un’altra volta la madre fu, sì, svelta abbastanza per raccoglierlo, ma se lo lasciò sfuggire di mano, e il bambino – un maschio – cadendo sull’ammattonato batté la testa. Per fortuna la caduta non ebbe conseguenze, e il bambino crebbe poi sano e robusto.

Crescendo, i suoi figli cominciarono a guardarla come si guarda una vecchia. Il maggiore non si stancava di ripeterle di non strapazzarsi, di non rompere con la zappa le grosse zolle lasciate dall’aratro: non era buono lui alla bisogna? Era giovane e forte, e assolutamente ci teneva a che essa si risparmiasse. Diceva spesso che nulla gli faceva più piacere che vederla tranquillamente seduta all’ombra, intenta a qualche lavoro di cucito, mentre egli usciva a lavorare nei campi.

Ma vecchia a quel punto lei non era, e l’antica passione per il lavoro dei campi non l’aveva ancora abbandonata. Le piaceva tornare, rotta dalla fatica e come lavata dal sano sudore del suo lavoro. Delizia del ventolino che glielo asciugava sulle membra dolcemente spossate! I suoi occhi erano usi a spaziare sulle vaste prospettive dei campi e delle colline, e non si adattavano facilmente al minuto lavoro dell’ago.

Ciò faceva sentire di più in casa la mancanza d’una donna giovane e di vista buona, come avrebbe potuto essere la figlia, se il destino non l’avesse fatta cieca. Anche la poverina aveva coscienza della sua sventura, e nel fondo del cuore non aveva nemmeno lei gran fiducia nella benignità della dea. La madre dubitava, perché sempre assillata dall’idea del vecchio peccato non espiato; la figlia, perché, più che aver fede, pensava fatalisticamente alla sua cecità come al compimento di un destino.

Un giorno la madre domandò: «Hai usato tutto il contenuto della penna d’oca?».



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