La Maestrina Degli Operai by Edmondo De Amicis

La Maestrina Degli Operai by Edmondo De Amicis

autore:Edmondo De Amicis [Amicis, Edmondo De]
La lingua: ita
Format: epub
pubblicato: 2011-12-15T07:48:00+00:00


23

Il cantoniere accorse. «Un ladro? un ladro?» E, afferrato un randello, si slanciò fuori, attraversò il cortile… e chiuse l’uscio.

La povera maestra passò la notte con la febbre, cercando quale fosse la miglior via per ricorrere alla giustizia, poiché vedeva oramai la cosa necessaria: se riferire il fatto al maestro Garallo, come direttore, perché scacciasse il Muroni dalla scuola e lo denunciasse ai carabinieri, o andar senz’altro dal cavalier Sanis, ch’era il personaggio più autorevole del sobborgo, perché provvedesse lui nel modo che avrebbe stimato più opportuno. A fare un passo, comunque fosse, era risoluta, non reggendole l’animo all’idea che le potesse toccare un’altra volta un affronto e uno spavento come quelli che aveva avuti, e al cui pensiero tremava ancora. Si levò la mattina dopo, decisa d’andar dal soprintendente, dopo averne avvertito, per dovere di delicatezza, il maestro. Era domenica: essa contava d’andar prima alla messa e poi alla fabbrica del cavalier Sanis.

Ma mentre stava terminando di vestirsi, eccoti lì la maestra Mazzara, ansante e affaccendata, come sempre, col sorriso sulla bocca e un pacco di carte fra le mani. Era già stata dalla Baroffi a chiedere un articolo per una Strenna che volevan pubblicare varie maestre a benefizio d’una loro collega, vedova d’una guardia daziaria. Non poteva trattenersi che pochi minuti. Aveva da galoppare tutto il giorno a Torino per preparare una recita di dilettanti al teatro Scribe, per la fondazione d’un asilo infantile alla Crocetta; doveva fare una visita alla scuola d’Orticoltura in via Garibaldi, dove una sua compagna insegnava a scrivere a quaranta giardinieri; voleva andare ancora all’istituto del Buon Pastore a vedere che cosa ci fosse di vero in una voce messa in giro da un giornale, che le maestre monache facessero apparire il diavolo di notte per spaventare le ragazze riottose. Quand’ebbe detto tutto questo, riprese fiato; poi domandò notizie della scuola serale all’amica, e si mostrò addolorata di vederla triste. «Cos’hai? Che c’è stato? Perché sei pallida? Che t’hanno fatto?».

Veramente, essa non pareva alla Varetti la confidente più opportuna per le cose che le aveva da dire; ma non avendone altra, raccontò tutto a lei, fino alla scena della sera avanti.

«Ma dunque l’hai innamorato!» esclamò quella con grande vivacità. «… Per questo non s’è più visto alle scuole festive!»

E stette un po’ pensando, come per gustare quello che vi era di romanzesco nell’avventura.

«E cos’hai deciso di fare?» domandò poi.

La Varetti le disse risolutamente la sua intenzione.

L’amica rimase assorta qualche momento. Poi rispose con gravità, tentennando il capo: «Io non ti darei questo consiglio».

E richiesta del perché, spiegò il suo pensiero.

«Perché tu non conosci l’animo di quella gente. Tu provocherai una vendetta.»

«Ma che vendetta vuoi ch’io provochi?» domandò la Varetti, scrollando una spalla. «Che cosa mi può far di peggio di quello che ha fatto?… Ammazzarmi?»

«Eh, a te non farà nulla» rispose l’altra «si capisce. Ma se non si vendicherà su di te, si vendicherà su quelli che lo puniranno, di questo puoi star sicura, come se fosse già fatto. No, non ti metter sulla coscienza questo rimorso.



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