La mia Battaglia by Franco Maresco

La mia Battaglia by Franco Maresco

autore:Franco Maresco [Maresco, Franco]
La lingua: ita
Format: epub
editore: il Saggiatore
pubblicato: 2023-04-10T22:00:00+00:00


** Per uno strano gioco dei destini, Letizia Battaglia si spegne il 13 aprile, nello stesso giorno in cui era nato Franco Scaldati.

Tu dov’eri quando

Queste conversazioni coprono un tempo lungo tre anni, dal 2017 al 2019. Sono state raccolte a margine del film La mafia non è più quella di una volta (2019) – che vide partecipe nella realizzazione Rean Mazzone, già produttore di Totò che visse due volte e Belluscone –, ma nessuna parte di esse è poi finita all’interno della pellicola. Sono momenti di pausa, di attese, di trasferimenti da un luogo a un altro, in cui Franco Maresco interroga di continuo Letizia Battaglia sui temi più disparati e più inusuali. Si era instaurata tra di loro una tensione dialettica molto forte, per cui l’obiettivo del regista era non permettere a Battaglia di annoiarsi. Ogni momento di silenzio veniva riempito da domande incalzanti, stemperate dal clima familiare e ironico che Maresco le aveva creato intorno durante le riprese.

Franco Maresco: 23 maggio 1992. Ti ricordi dov’eri in quel momento?

Letizia Battaglia: Ero da mia madre. Ogni domenica andavo da lei perché aveva il morbo di Parkinson. Stavamo guardando qualcosa in televisione e, tutto a un tratto, le trasmissioni vennero interrotte. Un annunciatore riferì che era successo qualcosa in un’autostrada a Palermo. Avevamo alle spalle una serie di terribili omicidi, avevamo già un’incredibile tensione addosso. Non seppi fare altro che chiamare un taxi. E invece che sull’autostrada, andai al pronto soccorso. Avevano detto che Falcone e la moglie Francesca Morvillo erano feriti. Al pronto soccorso non li vidi arrivare. Ero andata in un posto dove loro non sarebbero mai stati portati. Io non volevo più vedere tragedie. Non volevo vedere Falcone ammazzato. Non lo accettavo. Intanto Franco e Shobha erano andati sull’autostrada a Capaci. Un fotografo ha un dovere di testimonianza, ma io forse non mi sentivo più una fotografa in quel momento. Sapevo solo che non lo accettavo tutto questo. E insieme a me c’erano tanti altri palermitani che non l’accettavano. Quel giorno fu il primo dei tanti giorni in cui la gente comune si riversò per le strade di Palermo. Era una città disperata quella che vivevo. La disperazione era di tutti nel giorno dei funerali di Falcone, e quando facemmo per solidarietà e protesta la catena umana. Furono giorni belli e terribili. Si piangeva insieme. Piangere era importante, in quel momento. E poi siamo rimasti come in attesa dell’altra strage.

Adesso, a distanza di tanti anni – con il senno di poi –, si dice che ce lo aspettavamo, sapevamo che il prossimo sarebbe stato Borsellino. A parte il fatto che Paolo Borsellino stesso lo disse. Tu credevi veramente che potesse esserci un’escalation? Non pensavi che con Falcone la misura fosse colma? Quando in luglio saltò in aria Borsellino con la scorta, c’era nella gente una specie di assuefazione. Una catalessi?

In realtà non ci aspettavamo che ammazzassero Falcone. Sapevamo che c’era questa minaccia che incombeva su di lui, sapevamo dell’odio della mafia verso di lui. Ma dopo Capaci capimmo che avrebbero ammazzato Borsellino.



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