La notte dei cadaveri by Simon Scarrow

La notte dei cadaveri by Simon Scarrow

autore:Simon Scarrow [Scarrow, Simon]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Newton Compton Editori
pubblicato: 2023-03-29T22:00:00+00:00


Capitolo ventidue

Si fermarono sul ciglio del sentiero nel bosco e osservarono il cancello principale della clinica in fondo alla strada. Il cielo si era schiarito e le stelle brillavano su uno sfondo nero come la pece. Schenke guardò le lancette dell’orologio.

«Dieci minuti alle undici. Dovremmo avere tutto il tempo per perlustrare il posto prima dell’alba».

«Se riusciremo a entrare», rispose Liebwitz. «E a non essere scoperti».

Le finestre del casotto erano buie e neanche un accenno di luce filtrava dalle persiane. Schenke suppose che l’occupante dovesse essere a letto.

«Andiamo», disse a bassa voce. Uscirono dal nascondiglio e si affrettarono nella neve verso il cancello. Schenke infilò una mano tra le sbarre, afferrò il perno di ferro che bloccava il bullone scorrevole e cercò di sfilarlo. Il perno però fece resistenza, rifiutando di spostarsi.

«Merda», ringhiò. «È ghiacciato».

Ci riprovò, ma sembrava immobile.

«Dovremo trovare un altro modo». Con lo sguardo percorse il muro e poi su, fino alla cima del cancello. Ci fu un leggero clic. Si voltò e vide la mano guantata di Liebwitz tenere il perno.

«Deve averlo allentato, signore. È venuto fuori abbastanza facilmente».

«Bene. Apriamo il cancello».

Liebwitz posò il perno accanto al pilastro e lentamente tirò indietro il chiavistello. Non appena fu fuori dalla staffa, Schenke aprì il cancello tanto da permettere loro di passare, poi lo riaccostò; se il guardiano si fosse svegliato e avesse guardato fuori dalla finestra, niente sarebbe sembrato fuori posto. Percorsero il vialetto verso la guardiola vuota accanto al cancello interno. Davanti a loro si stagliava l’edificio principale, oscuro e minaccioso, e a Schenke vennero in mente le storie di fantasmi con cui si divertiva a spaventarsi da bambino. Un tremito di ansia gli gelò la schiena. Si vedeva solo una luce, una lampada schermata sospesa sopra l’entrata. Ora che la bufera di neve era terminata e non c’era più vento, un silenzio tetro incombeva sulla scena.

Stavano attraversando il cancello interno quando Liebwitz si immobilizzò e inclinò la testa.

«Cosa c’è?», sussurrò Schenke.

«Ascolti».

Tese le orecchie, con gli occhi alla massa scura dell’edificio. Poi lo sentì: un debole gemito che si fece più acuto fino a diventare un urlo, per poi interrompersi bruscamente. Ci fu un grido, una voce maschile, seguito da un breve silenzio; poi il lamento ricominciò, questa volta più forte, accompagnato da un’altra voce che cantava pietosamente. Schenke sentì il cuoio capelluto formicolare ed ebbe la tentazione di voltarsi e abbandonare quel luogo. Lanciò un’occhiata a Liebwitz.

«Andiamo, magari qualche bambino è agitato, nulla di più».

Fece un passo verso l’ingresso, ma Liebwitz rimase immobile.

«Cosa c’è?», chiese Schenke. Nessuna risposta, allora diede un colpetto sul braccio del compagno. Liebwitz indietreggiò come se fosse stato pungolato da un ferro rovente, senza fiato. Anche nel debole riverbero della neve, Schenke riusciva a distinguere l’espressione ansiosa sul suo volto. Era la prima volta che lo vedeva mostrare un’emozione, ed era inquietante. Schenke lo afferrò per le spalle e sentì l’uomo della Gestapo tremare.

«Scharführer Liebwitz, ricomponiti, dannazione!».

Liebwitz strinse gli occhi, fece alcuni respiri rapidi e profondi prima di liberarsi dalla presa. Si schiarì la gola.



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