La parabola della Repubblica by Angelo Panebianco & Massimo Teodori

La parabola della Repubblica by Angelo Panebianco & Massimo Teodori

autore:Angelo Panebianco & Massimo Teodori [Panebianco, Angelo & Teodori, Massimo]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Solferino
pubblicato: 2022-01-26T23:00:00+00:00


L’onda radicale

Alle elezioni politiche del giugno 1979, dopo l’assassinio di Moro e l’archiviazione del compromesso storico, si ebbe un vero boom radicale. La prima volta che era stato presente alle elezioni politiche del 1976 il Partito radicale della «rosa nel pugno» aveva ottenuto quasi 400mila voti (1,1 per cento) e quattro deputati, Marco Pannella, Emma Bonino, Adele Faccio e Mauro Mellini. Tre anni dopo i voti triplicarono fino a 1 milione 260mila voti con l’elezione di diciotto deputati, due senatori e tre eurodeputati (3,7 per cento). Il successo radicale, al termine di una intensa stagione referendaria sui diritti civili, indicava qualcosa di più del semplice successo nelle urne. Per la prima volta vi era stato un consenso popolare con uno sbocco parlamentare che oltrepassava i partiti laici storici e premiava una piccola forza politica sui temi delle libertà individuali e dei diritti civili. L’Italia modernizzante di allora, oltre che con la reazione extraparlamentare dei terroristi rossi e neri, si manifestava anche in sede istituzionale esprimendo una esigenza di libertà civile maggiore di quella che i grossi partiti, la Democrazia cristiana e il Partito comunista, avevano fino ad allora garantito.

In quelle elezioni, i radicali mostravano che al di là del gruppo originario si era affermata una nuova immagine che oltrepassava le strettoie dei vecchi partiti. Nelle loro liste figuravano politici nuovi e personalità eterodosse provenienti dai mondi cattolico, comunista, socialista e di nuova sinistra oltre che dalla eresia culturale quale quella di Leonardo Sciascia. L’analisi elettorale indicava che i ceti urbani avevano largamente votato radicale a Roma, Milano, Torino, Napoli, Palermo, Genova, e che vi era stato un trasferimento massiccio dei consensi dall’elettorato comunista a quello radicale. I diritti civili avevano fatto la differenza nelle scelte politiche degli elettori più avvertiti punendo il Pci del compromesso storico senza avvantaggiare i partiti tradizionali, Pli, Pri, Psdi e Psi. Se vi fosse stata nelle leadership dei radicali con Marco Pannella e dei partiti socialisti e liberali una maggiore attenzione nel cogliere il segnale del voto favorevole a una forza «terza» tra cattolici e comunisti che complessivamente rappresentava oltre un quarto dell’elettorato, forse non si sarebbe giunti dieci anni dopo alla catastrofe democratica. Ma come già era accaduto altre volte, ogni partito cercò di coltivare il proprio orticello, e ogni leader guardò più al circuito dei propri fedeli che non all’efficacia di una politica per la Repubblica.

Certo, da quella legislatura si avvertì in Parlamento un’aria nuova. Fino alla crisi degli anni Novanta della «prima» Repubblica, le istituzioni dovettero fare i conti con la pattuglia dei radicali, un vero e proprio presidio liberale nelle istituzioni contro le derive populiste e autoritarie che stavano lievitando all’interno dei maggiori partiti anni prima dell’esplosione della Lega di Bossi al Nord e dei cinquestelle di Grillo nell’antiparlamentarismo del Sud. Ma il successo radicale non piacque a Pannella. Il capo radicale dichiarò in facciata che si trattava di una vittoria limitata per le sue mega-­aspettative mentre, in realtà, ben altra era la pulsione che si stava impossessando di lui. Il



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