La passione dell'origine by Nadia Fusini

autore:Nadia Fusini [Fusini, Nadia]
La lingua: eng
Format: epub

Terza parte

Il fantasma di Amleto

...Ce promeneur d’un labyrinthe de trouble et des griefs en prolonge les circuits avec le suspens d’un acte inachevé...

Stéphane Mallarmé

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Amleto, o dell’indugio

Nel passaggio dalla tragedia al romanzo, abbiamo visto il personaggio-uomo atteggiarsi secondo una nuova posa. È propriamente nel romanzo che incontriamo l’uomo: ovvero un individuo intenzionato a mantenere in vita la propria vita, a prodursi attraverso il proprio lavoro, e a riconoscersi nelle determinazioni spazio-temporali della propria finita esistenza. È a partire dalla volontà di vita del servo, abbiamo detto, che inizia quell’avventura nel quotidiano in cui pare consistere l’essenza dell’epopea romanzesca.

Affinché l’«io» del romanzo si strutturi nella piena affermazione della propria identità, il personaggio deve però muovere a una rinuncia, ovvero al sacrificio preliminare della hybris – ovvero abdicare a quel fantasma di onnipotenza che tanto ha esaltato, ma anche dannato, l’eroe tragico.

Nessuna maglia più incatena l’esistenza dell’eroe romanzesco a una garanzia a priori: è al contrario solo attraverso il riconoscimento della propria solitudine mondana, che il personaggio romanzesco accede a quella prestanza, che lo rende forte della propria debolezza e finitudine. Sarà nella accettazione pura e semplice del limite che si è dato, che l’eroe affermerà la propria virtù etica. Conducendo la propria vita nelle determinazioni finite della propria esistenza mondana, si eserciterà così soprattutto nella virtù della rinuncia. In ciò riparandosi dal «tutto è possibile» – che inevitabilmente concludeva nella constatazione tragica della impossibilità del reale – l’eroe romanzesco preferirà delimitare di volta in volta il campo della sua azione e potenza: porrà dunque confini, e avrà certezze entro quei confini. Condurrà la propria esistenza all’ombra, e nella protezione della ragione. Afferrandosi tutto nella propria limitatezza, farà ciò che saprà di potere: conoscerà il relativo, l’empirico, il reale.

Smetterà la domanda di Amleto su che cos’è l’uomo, la lascerà cadere; e constaterà piuttosto la propria presenza, il ventaglio delle proprie potenziali capacità di azione: interrogherà l’uomo a partire da ciò che fa.

Amleto tuttavia presta al nuovo eroe un tratto fisiognomico essenziale: quello della ricerca della verità, esemplarmente collocata entro l’ambito familiare.

Amleto, sappiamo, l’abbiamo visto, ha un problema di successione: ha un conto da saldare con il padre, e per il padre. È il debito verso il padre che lo ossessiona, e lo travolge in una azione che non sa compiere, se non in uno scenario di esaltata teatralità.

Se Amleto potesse distogliersi dalla ingiunzione paterna – e come Robinson disubbidire – non solo al Padre, ma soprattutto alla Forma in cui sta; se potesse mettere in parentesi, obliare, quel fantasma; se non dovesse giustificare la propria vita nei termini di una appartenenza alla catena dell’essere, che lo incatena per la vita e per la morte all’origine; se Amleto potesse rimuovere – ovvero dividersi da quella anteriorità che lo domina; allora Amleto potrebbe vivere. Potrebbe come Wilhelm Meister seguire la propria vocazione, e tornare a studiare a Wittenberg: o fuggire dalla corte con la compagnia degli attori – facendo così della tragedia, che lo aspetta, un romanzo.

Ma tale gesto non è consentito ad Amleto. Sarà

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