La peste (Bompiani) by Camus Albert

La peste (Bompiani) by Camus Albert

autore:Camus Albert [Albert, Camus]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Bompiani
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00


III

Così, settimana dopo settimana, i prigionieri della peste si arrabattarono come poterono. E alcuni di loro, fra cui Rambert, come si è visto riuscivano persino a credere di agire ancora da uomini liberi, di essere ancora in grado scegliere. Ma in realtà a questo punto, a metà agosto, si poteva dire che la peste aveva sommerso tutto. Così non c’erano più destini individuali, ma una storia comune costituita dalla peste e sentimenti condivisi da tutti. Il più forte era quello della separazione e dell’esilio, con tutto ciò che comportava in termini di paura e di rivolta. Per tale motivo il narratore ritiene sia opportuno, giunti al culmine del caldo e della malattia, descrivere la situazione generale e, a titolo di esempio, le violenze dei nostri concittadini vivi, i funerali dei defunti e la sofferenza degli amanti divisi.

Proprio verso la metà di quell’anno si alzò il vento, che soffiò per molti giorni sulla città appestata. Il vento è particolarmente temuto dagli abitanti di Orano poiché non incontra alcun ostacolo naturale sull’altopiano in cui sorge la città e può così infilarsi nelle strade con tutta la sua violenza. Dopo i lunghi mesi in cui neppure una goccia d’acqua aveva rinfrescato la città, questa si era coperta di una patina grigia che con il vento si sfarinò. Si sollevavano così folate di polvere e di cartacce che sbattevano contro le gambe dei passanti ormai sempre più rari. Li si vedeva affrettarsi per le strade, curvi, un fazzoletto o la mano sulla bocca. La sera, anziché radunarsi all’aperto per tentare di prolungare il più possibile una giornata che tutti sapevano poteva essere l’ultima, i gruppetti di persone in cui ci si imbatteva avevano fretta di rincasare o di entrare in un caffè, tanto che per alcuni giorni, all’ora del tramonto che in quel periodo arrivava molto in fretta, nelle strade deserte altro non c’era che il lamento ininterrotto del vento. Dal mare agitato e sempre invisibile giungeva un odore di alghe e di salsedine. Quella città deserta, bianca di polvere, satura di odori marini, e tutta sonora delle grida del vento, gemeva allora come un’isola maledetta.

Finora la peste aveva fatto molte più vittime nei sobborghi, più popolosi e meno salubri, che nel centro città. Ma all’improvviso parve avvicinarsi e insediarsi anche nei quartieri degli affari. Gli abitanti accusarono il vento di trasportare i germi dell’infezione. “Spariglia le carte,” diceva il direttore dell’hotel. Come che fosse, i quartieri del centro capivano che era giunto il loro turno quando durante la notte udivano vicinissima, e sempre più frequente, la sirena delle ambulanze che faceva risuonare sotto le loro finestre il grido tetro e senza passione della peste.

All’interno stesso della città si ebbe l’idea di isolare alcuni quartieri particolarmente colpiti e consentirne l’uscita solo agli uomini che svolgevano un servizio indispensabile. Coloro che ci vivevano finirono col considerare quella misura un affronto rivolto precisamente contro di loro, e in ogni caso pensavano per contrasto agli abitanti degli altri quartieri come a uomini liberi. Questi ultimi, invece, nei momenti difficili si consolavano immaginando che altri erano ancora meno liberi di loro.



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