La promessa della felicità by Sara Ahmed

autore:Sara Ahmed [Sara Ahmed]
La lingua: ita
Format: epub
pubblicato: 2022-07-30T00:00:00+00:00

Utilitarismo e Impero

L’utilitarismo implica l’ingiunzione etica a massimizzare la felicità come “massima felicità del maggior numero”. La devastante critica di Friedrich Nietzsche all’utilitarismo svela come questo “maggior numero” è in realtà una strategia di edificazione della nazione: “Alla fin fine, costoro vogliono che sia la morale inglese a essere riconosciuta come autorevole, poiché l’umanità, o l’‘utilità generale’, anzi ‘la felicità del maggior numero’ – no! la felicità dell’Inghilterra sarà così servita al meglio. Costoro vorrebbero a ogni costo convincersi che la ricerca della felicità inglese, intendo dopo l’agiatezza e la moda [...], sia al contempo la vera strada per la virtù” ([1886] 1997: 96). Nel brano, il passaggio dalla morale inglese alla felicità dell’Inghilterra alla felicità inglese dimostra molto bene come la massima “la felicità del maggior numero” permetta di sovrapporre carattere morale e carattere nazionale. Per Nietzsche, l’ingiunzione a massimizzare la felicità comporta l’universalizzazione della morale inglese. La felicità utilitaristica, in quanto felicità del maggior numero, offre una tecnologia per promuovere l’“inglesità”.

La felicità utilitaristica è di certo interessata. Gli utilitaristi, dopotutto, hanno svolto un ruolo cruciale nella difesa dell’Impero britannico. Ciò non significa che l’utilitarismo abbia avanzato una giustificazione univoca in merito. Come sottolinea H.S. Jones, all’epoca esisteva una “eterogeneità di approcci utilitaristici alla questione” (2005: 82).125 Pensatori come Jeremy Bentham, James Mill, Henry Sidgwick e John Stuart Mill hanno tutti attinto dal discorso della massimizzazione della felicità per sostenere la missione imperiale, ma in modi diversi (si vedano Schultz e Varouxakis 2005). L’utilitarismo offriva una maniera per “soppesare”, per considerare i costi e i benefici relativi dell’impero. James Mill, per esempio, ha sostenuto che per i colonizzatori i costi superano i benefici (Jones 2005: 182).126 Le giustificazioni utilitaristiche si basavano principalmente sui vantaggi per i colonizzati e si fondavano in larga parte su di una logica economica: per esaudire il principio della massima felicità, i benefici per i colonizzati devono superare i costi per i colonizzatori. Secondo James Mill, era proprio in questi termini che l’impero adempiva al principio della massima felicità.

Le giustificazioni utilitaristiche dell’impero sono state cruciali non solo per l’amministrazione coloniale, ma anche per gli interessi commerciali. Come è noto, ma forse non del tutto compreso nelle sue conseguenze, sia James Mill sia suo figlio John Stuart Mill presero parte alla Compagnia britannica delle Indie Orientali.127 In un articolo pubblicato sulla “Monthly Review” John Bruce, storico della Compagnia, attingeva dal linguaggio dell’utilitarismo per giustificare la “formazione di una popolazione europea – britannica – in India” che, riconosceva, poteva essere “causa di timore” per gli e le inglesi in patria (1813: 29). Bruce difende così l’idea secondo cui la popolazione indiana avrebbe tratto beneficio dal governo di una classe di “uomini filantropi”: “Il cammino della civilizzazione verrebbe accelerato come mai prima. I tribunali, le conoscenze e i costumi dell’Europa sarebbero portati sin sulle loro soglie e imposti loro da un’irresistibile coercizione morale. La felicità della razza umana verrebbe così prodigiosamente accresciuta” (30; corsivo mio).128 L’impero è giustificato in termini di accrescimento della felicità umana. Se il dominio

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