La Repubblica di Barbapapà by Giampaolo Pansa

autore:Giampaolo Pansa [Pansa, Giampaolo]
La lingua: ita
Format: epub, mobi, azw3
Tags: Political Science
ISBN: 9788858666524
editore: Bur
pubblicato: 2014-01-13T23:00:00+00:00

Uno era lo storico portavoce di Amintore Fanfani: il notissimo Giampaolo Cresci, cinquantenne del 1930, un piccoletto mellifluo, una via di mezzo fra il tuttofare e il cortigiano. Il suo ruolo lo collocava in un territorio ambiguo: qualcosa di più del famiglio e qualcosa di meno del consigliere.

L’avevo conosciuto quando faceva ancora il giornalista e lavorava per un quotidiano di Firenze, il “Giornale del Mattino”. Era una testata cattolica, ma finanziata dalla Dc. Il primo direttore era stato Ettore Bernabei, che in seguito sarebbe diventato il potente direttore generale della Rai. Nell’ottobre 1963 Cresci l’avevano spedito a raccontare la catastrofe del Vajont e lì era finito in un guaio provocato dalla propria sicumera incosciente.

Dopo i primi giorni convulsi, le squadre dei giornali più forti si erano accordate per lavorare in pool. Ossia per decidere insieme quali notizie dare e quali rinviare al giorno dopo, allo scopo di accertarle meglio. Nel tardo pomeriggio i diversi team si riunivano all’Hotel Cappello di Belluno e stabilivano il contenuto dei servizi da trasmettere. Con una procedura discutibile, ma necessaria per evitare le risse tra i numeri uno.

Ero un inviato della “Stampa”, avevo 28 anni, e stavo agli ordini del mio caposquadra, Francesco Rosso, un collega assai più anziano ed esperto di me. E osservavo stupefatto i litigi tra le star. Una sera, a cena, esplose una discussione feroce tra Bocca, la star del “Giorno”, e Cavallari, capofila del “Corriere”. Per qualche motivo che non ricordo, Giorgio diede fuori di matto, impugnò la bistecca che aveva nel piatto e la lanciò contro Alberto, per fortuna senza centrarlo.

Il sistema del pool e le decisioni concordate eliminarono questi contrasti, però non del tutto. Una sera, Cresci violò l’accordo che anche lui aveva sottoscritto. E spedì al suo giornale una notizia importante che si era deciso di rinviare per sottoporla a un controllo più accurato.

Il mattino successivo, Guido Nozzoli, inviato del “Giorno”, venne svegliato di buon’ora dal vicedirettore, Angelo Rozzoni. E si prese un cicchetto per essersi cuccato un buco dal “Giornale del Mattino”. Rozzoni gli disse: «Ne parlano tutti i giornali radio. Complimenti, signor Nozzoli!».

Guido capì al volo che Cresci aveva dato una fregatura a tutti. Era un romagnolo focoso che per di più aveva fatto il partigiano rosso. E decise una rappresaglia immediata. Si alzò dal letto, uscì dalla camera nudo come un verme e bussò alla stanza di Giampaolino.

Il traditore stava già in piedi. Lavato, sbarbato e profumato, indossava una vestaglia preziosa. Aprì la porta e si trovò di fronte Nozzoli, o per essere precisi il pisello di Nozzoli, un affare davvero potente. Ma Guido non gli diede il tempo di ammirarlo. Gli sferrò sulla fronte un tremendo pugno, il classico nocchino. E spedì Cresci all’ospedale di Belluno.

Giampaolino rimase intontito anche quando uscì la lista della P2. Lì per lì, negò tutto. Ma a cacciarlo nei pasticci fu un assegno da centomila lire con la sua firma, ritrovato dai magistrati nelle carte di Gelli. Cresci tentò di spiegare che era destinato a opere di beneficenza. Ma pochi gli credettero.

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