La seconda porta by Sconosciuto

La seconda porta by Sconosciuto

autore:Sconosciuto [Sconosciuto]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Baldini&Castoldi
pubblicato: 2019-10-14T22:00:00+00:00


A pranzo, forse per rifarmi, costrinsi Adam a mangiare il cous cous con me. La mia ricetta era semplicissima, per la verità: sulla base di semola precotta mettevo di tutto, pescando da avanzi e rimasugli, con una predilezione per i legumi. Quando a poco più di vent’anni avevo cominciato a vivere da solo, il cous cous era stato uno dei miei piatti unici preferiti e lo avevo inflitto con feroce imparzialità a tutti i miei commensali dell’epoca: amici, ragazze curiose, compagni di studi. Perfino a mia madre ogniqualvolta veniva a verificare le sue lugubri previsioni, ossia che l’appartamentino in affitto, già angusto e male arredato, si sarebbe trasformato a poco a poco «nella tana di un topo», come diceva.

Quando Adam si rese conto che i miei ripetuti inviti suonavano ormai come ordini, scese da me premettendo: «Sì, ma io poi torno nella mia casa», e si sedette a tavola muovendosi come se col semplice respiro rischiasse di rovesciare mobili o perlomeno mandare in frantumi bottiglie e bicchieri. Dopo le prime forchettate alzò gli occhi dalla ciotola di coccio dove gli avevo rovesciato l’intruglio, mi fece un gran sorriso e commentò: «È diverso».

«Cioè?»

«Non è il vero cous cous. È più buono, ma non è lui.»

Lo considerai un complimento.

Le vicissitudini di Adam nel Mediterraneo non sembravano un buon argomento conviviale, perciò mi ritrovai a parlargli del mio lavoro. Era un tema da cui di solito mi tenevo alla larga, considerandolo noiosissimo; Adam invece mi fece un sacco di domande, sgranando gli occhi alle mie descrizioni. Ancora una volta dovevo riconoscere che quel mondo per me scontato, pieno di rutilanti banalità e menzogne, conservava fascino per chi non lo conosceva. Figuriamoci per un ragazzo come lui, che veniva da una stamberga nel golfo di Sallum.

«Che bello, Milo», disse alla fine, mentre divorava un budino industriale che gli piaceva più del mio cous cous. «Bello il tuo lavoro! Bellissimo che uno ha un lavoro così.»

«Tu potresti fare il modello», risposi. «L’ho pensato appena ti ho visto.»

«Per fare pubblicità alla HoSpes?»

«Certo! Ma non solo. Potresti anche essere un giovane aristocratico in uno spot sul turismo in Egitto, per esempio. Un principe, il figlio di un petroliere, uno di quelli che passano la vita a provare la Ferrari nuova e a mangiare caviale circondati da ragazze costose… be’, facciamo ragazzi, se preferisci. Però nello spot ci mettiamo le ragazze, per sicurezza.»

Adam rise e arrossì, una reazione che aveva spesso e che mi faceva venire voglia di scompigliargli i capelli, pizzicargli le gote. Insomma, cose che era meglio evitare.

«A me piacciono anche le ragazze», dichiarò. «Cioè, se sono belle, io mi accorgo. Le guardo.»

«E loro?»

«Eh.»

«Senti, ti faccio una proposta: cominciamo a vestirti come un principe, o almeno a migliorare il tuo guardaroba. Oggi andiamo in un centro commerciale che c’è qui vicino e compriamo qualcosa, che ne dici? Un bel paio di scarpe, dei jeans decenti, magari un giubbotto anche se per adesso non ti serve.»

L’idea mi era venuta durante il viaggio di ritorno dalla Liguria, perché Adam portava con grazia i suoi quattro stracci ma sempre stracci rimanevano.



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