La società del Quinto Stato by Maurizio Ferrera

autore:Maurizio Ferrera [Ferrera, Maurizio]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Tempi Nuovi
editore: Editori Laterza
pubblicato: 2019-01-14T23:00:00+00:00

Lotta alla povertà

Anche la lotta alla povertà è una strategia complessa, costosa e politicamente delicata. Le persone vulnerabili sono poco attive politicamente e poco rappresentate. Le classi medie diventano meno disponibili a politiche redistributive verso il basso: stanno tristemente riemergendo in molti paesi – soprattutto in seno al vecchio ceto medio, quello che oggi si sente più minacciato – sentimenti moralistici nei confronti dei poveri (è colpa loro). In teoria, il modo tecnicamente più efficace per combattere la povertà sembrerebbe il ricorso alla cosiddetta selettività: prestazioni riservate ai «poveri» identificati tramite una qualche verifica della situazione economica. Questo approccio ha ispirato l’istituzione e il consolidamento nel tempo di schemi di reddito minimo garantito, ossia di reti di protezione di base volte a sorreggere i bisognosi senza guadagni e privi di accesso alle prestazioni assicurative.

Sulla contrapposizione fra selettività e universalismo – prestazioni di base uguali per tutti, senza verifica dei mezzi – si è sviluppato uno dei più lunghi e accesi dibattiti sociali del Novecento. A destra, la selettività è stata elogiata come strumento capace di evitare dispersioni distributive e contenere la spesa, senza interferire troppo con la logica del mercato. A sinistra, si è invece sempre guardato con perplessità e sospetto alle prestazioni means-tested (soggette a verifica della situazione economica) in quanto foriere di emarginazione e di rischi per la stabilità politica del Welfare State nel suo complesso. L’erogazione di sussidi non legati ai contributi versati può infatti produrre una progressiva e stigmatizzante ghettizzazione dei beneficiari, nonché un degrado qualitativo dei servizi («il welfare per i poveri diventa welfare povero») e una erosione del sostegno della classe media, con conseguenti rischi di delegittimazione dell’intero sistema di protezione.

Oggi lo storico dibattito sui meriti e demeriti di selettività e universalismo ha perso i suoi toni ideologici e si è fatto più pragmatico. Tutti i paesi – anche quelli nordici, culla dell’universalismo – hanno nel tempo introdotto un ventaglio più o meno ampio di prestazioni e servizi mirati ai bisognosi, con verifica dei mezzi. Per quanto generoso, l’universalismo da solo non riesce infatti a rispondere alla gamma crescente di vulnerabilità legate alle rapide trasformazioni dell’economia e della società. Con il reddito di inclusione e il reddito di cittadinanza anche l’Italia si è allineata al resto d’Europa. Al tempo stesso, è emerso con molta evidenza che la selettività può creare effetti perversi sul piano dell’efficienza, intrappolando i beneficiari nella povertà, o nell’inattività: accettare una occupazione – ammesso che ci sia – comporterebbe infatti la perdita del sussidio e potrebbe dunque non essere conveniente.

La frontiera del dibattito si è così spostata sulle strategie capaci di neutralizzare le possibili trappole tramite sofisticate procedure di condizionalità e incentivi sia sul versante della spesa sia su quello fiscale, ad esempio attraverso le cosiddette imposte negative sui redditi.

Sotto questo profilo, le regole tranchantes (soglie fisse standardizzate per la perdita del beneficio in caso di nuovo impiego) del reddito di cittadinanza introdotto in Italia nel 2019 appaiono «preistoriche» rispetto alle esperienze di paesi come la Francia, il Regno Unito e i Paesi nordici.

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