La spia di Venezia by Benet Brandreth

La spia di Venezia by Benet Brandreth

autore:Benet Brandreth [Brandreth, Benet]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Fiction, Thrillers, Historical
ISBN: 9788822707611
Google: su_VDgAAQBAJ
editore: Newton Compton Editori
pubblicato: 2017-07-06T17:17:06+00:00


Detto in parole povere

Prospero, senza la costrizione di viaggiare con un gran carico e con discrezione, come aveva dovuto fare sir Henry, scelse di utilizzare i canali che attraversavano l’Italia per raggiungere Venezia. A poche ore di cavallo dal bosco fatale, la piccola comitiva aveva scambiato i cavalli per una chiatta. In compagnia di due mercanti sabaudi, che portavano la loro merce ai mercati di Venezia, la chiatta procedeva il suo viaggio mentre Prospero se ne stava comodamente sdraiato su una panca imbottita e Oldcastle cercava di fare una modesta ma ampollosa conversazione servendosi di William come tramite.

La vicinanza a cui li costringeva quel viaggio, coi tre uomini stretti in una cabina a prua della chiatta, insieme a sedie, tavoli e, cosa bizzarra, una cassa decorata da un elaborato dipinto, aumentava il disagio di William. Notò per la prima volta che Prospero emanava un profumo raffinatissimo. William ne diffidava. Nessun uomo avrebbe dovuto profumare in quel modo. Era anche consapevole del suo sudore, e si risentiva del contrasto. Si risentì ancora maggiormente ritrovando il suo ruolo di segretario sminuito al semplice prestar la voce a Oldcastle quando il latino lo abbandonava. E lo abbandonava sempre più spesso, ora che la malinconia cresceva, e l’uomo non sembrava in grado di fornire che stringatissime risposte, che William si sentiva obbligato a infiocchettare per paura di offendere il loro ospite.

In quell’ambizione William pareva destinato a fallire. Almeno rispetto alla sua stessa presenza, che Prospero sembrava trovare sempre più irritante.

«Scrivi, scrivi, scrivi, mastro Fallow. Che hai che continui a scribacchiare?».

William alzò lo sguardo mentre Prospero lo spiava dall’alto.

«Il mio quaderno delle banalità, mio signore», disse William.

«E cosa sarebbe?», domandò Prospero.

«Un quaderno in cui annoto ciò che colpisce il mio interesse. È un’abitudine che ho preso a scuola e che non ho mai abbandonato da allora. Trovo che i miei pensieri prendano forma e sostanza quando li scrivo, mentre nella mia testa rimangono solo dei fantasmi».

William si era profuso in una spiegazione molto più precisa di quella che aveva avuto intenzione di dare. Era arrabbiato con se stesso perché l’aveva fatto con l’intento di vincere la benevolenza dell’arrogante conte che gli stava davanti. Ancora di più perché non aveva avuto successo.

«Sei ancora uno scolaretto, quindi?», disse Prospero.

«Certo che no, mio signore», rispose William.

Prospero tagliò corto. «Allora per favore non annoiarmi con le tue sciocchezze da scolaro».

William tentò un’ultima strada. «Ho anche fatto qualche tentativo con la poesia».

«Puah!», lo interruppe Prospero. «Un’arte che non sopporto. Una ruota non oliata che gratti contro l’asse di un carro è più gentile al mio orecchio della leziosa poesia. Io la sconsiglio, mastro Fallow. Non c’è profitto nella poesia».

Il viaggio era stato più rapido della lenta marcia a cui era stata costretta l’ambasciata di sir Henry, e più confortevole, almeno sul fronte dei trasporti. La strana compagnia e la situazione rischiosa in cui si trovavano William e Oldcastle impedivano loro di godere di quegli agi.

Altrettanto scontento e a disagio in quel viaggio era anche Borachio.

La notte di quel giorno di viaggio pregò Prospero di liberarsi degli inglesi.



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