La torre dei popoli by Han Ryner
autore:Han Ryner
La lingua: ita
Format: epub
editore: oooo
pubblicato: 2014-05-24T16:00:00+00:00
CAPITOLO VII. - IL LAVORO DEI POPOLI
Sebbene il viaggio li avesse abituati alle moltitudini, Rifat e Tel-Loh, mentre si avvicinavano alla pianura di Sennaar, passavano di meraviglia in meraviglia al vedere tutto ciò che si precipitava verso quel mare di uomini, le onde e le folle umane spinte da altre onde e da altre folle. L'Ario tentava di dire la sua vecchia sorpresa, perduta nell'immensità del nuovo stupore:
â Noi eravamo due gocce nella corrente del vasto Eufrate. Ma il nostro stesso furore non diventa forse simile, in questo oceano di popoli, ad una povera goccia d'acqua?
La diversità dei corpi, dei colori, degli atteggiamenti, dei linguaggi, dei costumi, lo aveva lietamente commosso durante il cammino. Qui diventava dolore e terrore lacerante. La più fraterna applicazione sarebbe riuscita a trasformare questa sofferenza in piacere, questi mille urti in una larga carezza?
Ciò che somigliava alquanto a cose già viste lo riempiva di calma e di dolce familiarità . Ma troppe novità , per così dire assolute, lo assalivano contemporaneamente. Gli accadde di gemere come quando si esala un'amarezza:
â Bere, sì, bere fino all'ebbrezza; ma non annegare!
â Tu ti strangoli e soffochi, replicava Tel-Loh, per voler bere troppo in fretta.
I primi giorni, un'amichevole fretta l'aveva spinto a visitare numerosi accampamenti. Non voleva tardare a distinguere le diverse razze. Fu ben presto simile all'uomo che, avendo guardate troppe luci, sente, attorno alla sua testa girante di vertigine, le luci mescolarsi, girando in modo da abbagliarlo, e confondersi. Gli occhi feriti del suo spirito si chiudevano, quasi volessero fuggire. Tel-Loh che si era precipitata con minor avidità verso questa scienza, riconosceva meglio di lui l'origine delle persone incontrate.
Figlia di quella Mesopotamia che era un cavo crogiuolo di uomini e ove già , prima che nascesse l'entusiasmo per la Torre dei Popoli, si avvicinavano, dicesi, ottanta razze differenti, ella aveva su lui altri vantaggi.
Nello sfarfallare della pianura di Sennaar, ella gli designava senza esitazione l'originario dell'Asia Minore, dalla veste trascinantesi, dalla lunga barba, un turbante rotondo sulla testa rasa; l'Africano dalla pelle d'ebano, dai capelli di lana nera, dal corpo cinto di un grembiale bianco o azzurro, dalle collane di conchiglie, dai braccialetti di corallo. Già gli aveva insegnato a conoscere gli Accadi, i Sumamerii, i Camiti, i nomadi, padri dei futuri Ebrei, e venti varietà di Turanici e di Cusciti.
Ma Rifat insegnava a lei le differenti razze scite. Egli conosceva quelli che in una faccia appiattita portano piccoli occhi obliqui, e anche quelli il cui viso ovale, nettamente sporgente, dove un naso da uccello da preda avanza il suo ardito promontorio, è illuminato da grandi occhi azzurri.
Ma entrambi esitavano davanti a piccoli uomini dal berretto a punta, dalle scarpe a sandali; davanti a massicce creature nude il cui odore offendeva la gola, la cui pelle fumosa sembrava dover bruciare chi la toccasse; davanti a uomini dall'acconciatura bicornuta che portavano, fra gli abbandonati peli del loro petto, piccoli idoli. E chi era costui, dalla pelle fulva e dal pennacchio in testa? Donde veniva quest'altro, giallo di colore e di abito,
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