L’amore coniugale by Alberto Moravia

L’amore coniugale by Alberto Moravia

autore:Alberto Moravia
La lingua: ita
Format: epub
pubblicato: 2011-08-18T16:00:00+00:00


XI

Le dissi che volevo salire sull’aia per guardare il panorama che di lassù si scopriva immenso; lei accettò e, sempre allacciati, ci arrampicammo per il pendio ripido, sull’erba che ci faceva sdrucciolare. Giunti sull’aia, restammo un momento fermi a contemplare il paesaggio. La pianura intera si distendeva a perdita d’occhio nella notte chiara, e la luna rivelava in quel vasto pullulare, i filari d’alberi, le siepi, gli spazi vuoti dei campi, i vigneti. Qua e là lo splendore lunare si raccoglieva su qualche facciata di cascinale, inargentandola. All’orizzonte, la terra si staccava dal cielo sereno con una fila di monti neri. Un borbottio remoto, come di treno che procedesse nascosto tra le coltivazioni, scorreva attraverso la campagna addormentata e ne confermava la vastità e il silenzio.

Mia moglie guardava quasi stupita il paesaggio come se avesse voluto penetrare il segreto di quella serenità e di quel silenzio; e io passandole di nuovo un braccio intorno la vita incominciai a parlarle sottovoce additando ora un luogo ora un altro sulla pianura ed esaltando la bellezza della notte.

Quindi, sempre discorrendo piano, la feci voltare verso il monte che si alzava alle nostre spalle, le indicai le mura della città sulla cima. Parlando ci eravamo avvicinati ad uno dei pagliai: in terra c’era della paglia sparsa sulla quale di giorno giocavano i bambini del mezzadro. Ad un tratto l’abbracciai mormorandole: «Leda… qui, non è più bello che nella tua camera?». Intanto cercavo di abbatterla in terra.

Ella mi guardava, gli occhi azzurri e luminosi dilatati da una subita tentazione. Poi disse resistendo: «No… la paglia non è pulita… e poi tutte quelle punte… mi rovinerei il vestito».

«Che importa il vestito».

«Il tuo lavoro non è ancora finito», ella disse ad un tratto con un riso inaspettato e pieno di civetteria, «il giorno che l’avrai veramente finito, torneremo qui di notte… va bene?».

«No, non va bene, non ci sarà più la luna… Stanotte».

Ella disse dolcemente e pareva ancora esitante: «Lasciami, Silvio»; e poi, tutto ad un tratto, si svincolò da me e corse via, giù per il poggio, ridendo. Era un riso fresco, fanciullesco, di una nervosità affettuosa in cui pareva tremare tuttora la tentazione che poc'anzi le avevo letto negli occhi; e mi sembrò che mi ripagasse della sua ripulsa. Forse era meglio che fosse andata «, pensai rincorrendola, con un dolce rifiuto e un riso grazioso. Ella correva davanti a me, per il sentiero, tra il parco e i vigneti, la raggiunsi facilmente e la presi tra le braccia. Ma ormai mi sembrava che quel riso avesse saziato ogni mio desiderio; e, dopo averla baciata, ripresi a camminare al suo fianco, stringendola per mano. La luna stendeva davanti a noi le nostre due ombre separate, con le mani unite; e la castità di questo nostro ritorno mi pareva adesso più amorosa dell’amplesso al quale ella si era sottratta sull’aia. Percorremmo il viale, giungemmo sullo spiazzo. Nel frattempo la luce era tornata e la porta finestra del salotto ci apparve illuminata e accogliente. Entrammo in casa e salimmo direttamente al secondo piano.



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