L’Inferno di Dante by Vittorio Sermonti

L’Inferno di Dante by Vittorio Sermonti

autore:Vittorio Sermonti [Sermonti, Vittorio]
La lingua: ita
Format: epub
ISBN: 978-88-11-00115-7
editore: Garzanti
pubblicato: 2021-02-21T16:00:00+00:00


“Ecco la fiera con la coda aguzza,

che passa i monti e rompe i muri e l’armi!

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Ecco colei che tutto ’l mondo appuzza!”.

Sì cominciò lo mio duca a parlarmi;

e accennolle che venisse a proda,

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vicino al fin d’i passeggiati marmi.

E quella sozza imagine di froda

sen venne, e arrivò la testa e ’l busto,

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ma ’n su la riva non trasse la coda.

La faccia sua era faccia d’uom giusto,

tanto benigna avea di fuor la pelle,

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e d’un serpente tutto l’altro fusto;

due branche avea pilose insin l’ascelle;

lo dosso e ’l petto e ambedue le coste

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dipinti avea di nodi e di rotelle.

Con più color, sommesse e sovraposte

non fer mai drappi Tartari né Turchi,

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né fuor tai tele per Aragne imposte.

Come talvolta stanno a riva i burchi,

che parte son in acqua e parte in terra,

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e come là tra li Tedeschi lurchi

lo bìvero s’assetta a far sua guerra:

così la fiera pessima si stava

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su l’orlo ch’è di pietra e ’l sabbion serra.

Nel vano tutta sua coda guizzava,

torcendo in sù la venenosa forca

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ch’a guisa di scorpion la punta armava.

Lo duca disse: “Or convien che si torca

la nostra via un poco insino a quella

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bestia malvagia che colà si corca”.

Però scendemmo a la destra mammella,

e diece passi femmo in su lo stremo,

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per ben cessar la rena e la fiammella.

E quando noi a lei venuti semo,

poco più oltre veggio in su la rena

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gente seder propinqua al loco scemo.

Quivi ’l maestro “Acciò che tutta piena

esperïenza d’esto giron porti”,

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mi disse, “va, e vedi la lor mena.

Li tuoi ragionamenti sian là corti;

mentre che torni, parlerò con questa,

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che ne conceda i suoi omeri forti”.

Così ancor su per la strema testa

di quel settimo cerchio tutto solo

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andai, dove sedea la gente mesta.

Per li occhi fora scoppiava lor duolo;

di qua, di là soccorrien con le mani

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quando a’ vapori, e quando al caldo suolo:

non altrimenti fan di state i cani

or col ceffo or col piè, quando son morsi

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o da pulci o da mosche o da tafani.

Poi che nel viso a certi li occhi porsi,

ne’ quali ’l doloroso foco casca,

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non ne conobbi alcun; ma io m’accorsi

che dal collo a ciascun pendea una tasca

ch’avea certo colore e certo segno,

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e quindi par che ’l loro occhio si pasca.

E com’io riguardando tra lor vegno,

in una borsa gialla vidi azzurro

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che d’un leone avea faccia e contegno.

Poi, procedendo di mio sguardo il curro,

vidine un’altra come sangue rossa,

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mostrando un’oca bianca più che burro.

E un che d’una scrofa azzurra e grossa

segnato avea lo suo sacchetto bianco,

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mi disse: “Che fai tu in questa fossa?

Or te ne va; e perché se’ vivo anco,

sappi che ’l mio vicin Vitalïano

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sederà qui dal mio sinistro fianco.

Con questi Fiorentin son padoano:

spesse fïate mi ’ntronan li orecchi

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gridando: ‘Vegna ’l cavalier sovrano,

che recherà la tasca con tre becchi!’”.

Qui distorse la bocca e di fuor trasse

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la lingua, come bue che ’l naso lecchi.

E io, temendo no ’l più star crucciasse

lui che di poco star m’avea ’mmonito,

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torna’mi in dietro da l’anime lasse.

Trova’ il duca mio ch’era salito

già su la groppa del fiero animale,

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e disse a me: “Or sie forte e ardito.

Omai si scende per sì fatte scale;

monta dinanzi, ch’i’ voglio esser mezzo,

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sì che la coda non possa far male”.



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