L'amica geniale 03 - Storia di chi fugge e di chi resta by Elena Ferrante

L'amica geniale 03 - Storia di chi fugge e di chi resta by Elena Ferrante

autore:Elena Ferrante [Ferrante, Elena]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Edizioni e/o
pubblicato: 2013-10-22T22:00:00+00:00


59.

Sperai che la professoressa non mi avesse sentita gridare. E intanto aspettai che Nadia schizzasse via dalle ginocchia di Pasquale e corresse a sedersi sul divano, desideravo vedere entrambi umiliati dalla necessità di fingere l’assenza di intimità. Notai che anche Lila li guardava ironica. Ma i due restarono come stavano, Nadia anzi passò un braccio intorno al collo di Pasquale come se temesse di cadere, e intanto disse alla madre che era appena comparsa sulla soglia: la prossima volta avvisami, se hai visite. La professoressa non le rispose, si rivolse a noi fredda: scusatemi, ho fatto tardi, mettiamoci nel mio studio. La seguimmo, mentre Pasquale allontanava da sé Nadia mormorando con un tono che mi sembrò all’improvviso depresso: dài, andiamo di là.

La Galiani ci fece strada per il corridoio borbottando stizzita: quello che mi dà veramente fastidio è la cafonaggine. Poi ci introdusse in una stanza ariosa con una vecchia scrivania, molti libri, austere sedie imbottite. Assunse un tono gentile, ma era chiaro che stava lottando col cattivo umore. Disse che era contenta di vedermi e di rivedere Lila; tuttavia a ogni parola, e tra le parole, la sentii sempre più adirata, desiderai di andarmene al più presto. Mi scusai per non essermi fatta più viva, parlai in un modo un po’ affannato della fatica degli studi, del libro, delle mille cose che mi avevano travolta, del fidanzamento, del matrimonio ormai prossimo.

«Ti sposi in chiesa o solo col rito civile?».

«Solo col rito civile».

«Brava».

Si rivolse a Lila, voleva tirarla nella conversazione:

«Lei s’è sposata in chiesa?».

«Sì».

«È credente?».

«No».

«Allora perché s’è sposata in chiesa?».

«Si faceva così».

«Non bisognerebbe fare le cose solo perché si fanno».

«Ne facciamo tante».

«Andrà al matrimonio di Elena?».

«Non mi ha invitata».

Sussultai, dissi subito:

«Non è vero».

Lila ridacchiò:

«È vero, si vergogna di me».

Il tono era ironico, ma mi sentii ugualmente ferita. Cosa le stava succedendo? Perché prima mi aveva dato torto davanti a Nadia e a Pasquale, e ora diceva quella cosa antipatica davanti alla professoressa?

«Sciocchezze» dissi, e per calmarmi estrassi dalla borsa il mio libro, lo porsi alla Galiani dicendo: le volevo dare questo. Lei lo guardò per un attimo senza vederlo, seguendo forse un suo pensiero, poi mi ringraziò, disse che l’aveva già, me lo restituì chiedendomi:

«Tuo marito che fa?».

«Ha una cattedra di letteratura latina a Firenze».

«È parecchio più vecchio di te?».

«Ha ventisette anni».

«Così giovane, una cattedra?».

«È bravo».

«Come si chiama?».

«Pietro Airota».

La Galiani mi guardò attentamente, come a scuola quando ero interrogata e davo una risposta che riteneva incompleta.

«Parente di Guido Airota?».

«È suo figlio».

Sorrise con esplicita malizia.

«Bel matrimonio».

«Ci vogliamo bene».

«Hai cominciato già a scrivere un altro libro?».

«Ci sto provando».

«Ho visto che collabori con l’Unità».

«Poche cose».

«Io non ci scrivo più, è un giornale di burocrati».

Passò di nuovo a Lila, sembrò che volesse comunicarle in tutti i modi la sua simpatia. Le disse:

«È notevole ciò che ha fatto in fabbrica».

Lila fece una smorfia infastidita.

«Non ho fatto niente».

«Questo non è vero».

La Galiani si alzò, frugò tra le carte sulla scrivania, le mostrò dei fogli come se fossero una prova inconfutabile.

«Nadia ha lasciato questo suo testo in giro per casa e io mi sono permessa di leggerlo.



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