Le catene della sinistra by Claudio Cerasa

Le catene della sinistra by Claudio Cerasa

autore:Claudio Cerasa [Cerasa, Claudio]
La lingua: ita
Format: epub
editore: RIZZOLI LIBRI
pubblicato: 2014-04-14T22:00:00+00:00


«All’inizio degli anni Novanta era sindacalizzato circa il 40% dei lavoratori nel settore privato, cifra che è scesa al 19% nel 2007. L’occupazione nel settore pubblico risulta sindacalizzata per quasi un 20% in più del settore privato» (Daniele Checchi, Massimiliano Bratti e Antonio Filippin, «Diseguaglianza e sindacalizzazione in Italia», in Da dove vengono le competenze degli studenti?, il Mulino, Bologna 2007).

È il 22 gennaio 2013: siamo a Roma, a pochi passi da Porta Pia, al terzo piano di corso Italia 25, sede della Cgil, e dopo una breve attesa nell’anticamera incontriamo il segretario Susanna Camusso. Nata a Milano il 14 agosto 1955, è stata eletta il 3 novembre 2010 alla guida del sindacato più importante d’Europa. Seduta alla sua scrivania affacciata sui cipressi di Villa Borghese, accetta di discutere con il cronista, in particolare sulla ragione che ha portato la Cgil a essere sempre meno il sindacato dei lavoratori e sempre più quello dei pensionati.

Il paradosso che poniamo a Camusso è evidente: come può avere un sindacato che rappresenta solo una piccola fetta di lavoratori nelle trattative con il governo il compito di rappresentare tutti i lavoratori? Detto in altri termini: come può un sindacato che ha fatto del «no all’articolo 18» e del «no alla riforma delle pensioni» un suo tratto identitario rappresentare anche tutti quei lavoratori che si trovano in un altro regime, e che semplicemente oggi non sono rappresentati da nessuno? Detto ancora meglio: come è possibile accettare che tutti coloro che lavorano senza essere difesi dall’articolo 18 siano esclusi di fatto dalle forme di rappresentanza collettiva e siano rappresentati da chi rappresenta altri interessi? Camusso sa che i sindacati hanno alcune responsabilità nell’altissima disoccupazione giovanile, nei salari molto bassi, nella produttività ancora più bassa e nell’accesso al mondo del lavoro che non ha pari con tutto il resto d’Europa, e ci concede un piccolo mea culpa.

«Forse qualcosa da rimproverarci ce l’abbiamo e io credo che l’errore più grave commesso in questi anni dalla Cgil sia stato quello di aver sottovalutato il fenomeno del precariato. Per anni la Cgil ha visto il mondo dei precari come se fosse un universo numericamente ridotto, contenuto: senza capire invece che quel mondo ormai era entrato, purtroppo, a far parte del tessuto sociale. La legge 30, quella sul lavoro, per capirci, è una legge che noi non abbiamo mai condiviso; ma una volta che quella legge è stata approvata noi avremmo dovuto preoccuparci di come rappresentare i diritti dei nuovi lavoratori, e non soltanto combattere quel principio. Non l’abbiamo fatto».

Eccolo il punto. Il punto è che una delle ragioni per cui il sistema del welfare italiano garantisce chi ha già molti diritti e non garantisce chi invece molti diritti non li ha – chi ha un contratto a progetto o un contratto a tempo determinato, chi un contratto non lo ha ed è costretto a lavorare con la partita Iva, ovvero la stragrande maggioranza dei lavoratori italiani (secondo l’Istat, dati 2013, il ceto medio con partita Iva arriva a 5,5 milioni



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