Le rivoluzioni del capitalismo by Valerio Castronovo

Le rivoluzioni del capitalismo by Valerio Castronovo

autore:Valerio Castronovo [Castronovo, Valerio]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Laterza
pubblicato: 2013-09-29T22:00:00+00:00


La grande crisi e la rivoluzione keynesiana

Quel che assecondava la vocazione espansiva dell’economia americana era il convincimento che la diffusione del benessere sarebbe coincisa con lo sviluppo della democrazia. Il crollo nell’ottobre 1929 di Wall Street, e la Grande crisi che dall’America rimbalzò in mezza Europa, sembrò pertanto l’annuncio di morte non solo del capitalismo ma anche dei sistemi politici che si reggevano sulle istituzioni rappresentative.

Mai come negli anni Trenta parve avverarsi la profezia di Marx e avvicinarsi perciò il momento del trionfo del comunismo, tanto più in considerazione dei notevoli progressi compiuti dall’Unione Sovietica (attraverso la collettivizzazione delle campagne e un’industrializzazione pianificata dall’alto) nella marcia a tappe forzate verso la modernizzazione. Ma la prospettiva di una decadenza del capitalismo, o la ricerca di un antidoto all’«anarchia» del capitalismo, fornì nello stesso tempo

linfa e vigore anche al totalitarismo di destra, al corporativismo fascista dell’Italia di Mussolini come al nazionalsocialismo della Germania di Hitler. Tant’è che i due dittatori (e non solo Stalin, convinto che il fascismo fosse il punto d’arrivo del liberalismo) giunsero a pensare che le democrazie liberali avrebbero finito prima o poi col battere la loro stessa strada.

In effetti il terremoto che scosse le economie occidentali era di eccezionale portata. Giacché a provocarlo avevano concorso tanto il crescente squilibrio fra la produzione e il consumo e l’insufficienza di mezzi di pagamento internazionali, quanto la tendenza di quasi tutti i paesi, dopo il ritorno al gold standard, ad accantonare una politica monetaria flessibile (tale da fronteggiare i problemi derivanti dalla limitazione degli scambi, dalla rigidità dei mercati interni e dai movimenti anomali di capitali), pur di mantenere la convertibilità aurea della moneta. A sua volta, l’intensa ma caotica crescita dell’economia americana aveva comportato, oltre a un massiccio indebitamento degli operatori, sfrenate ondate speculative sul mercato finanziario.

Tuttavia, proprio dall’America, che aveva innescato il detonatore della Grande crisi, e che rischiava di essere travolta dal dramma sociale di quindici milioni di disoccupati, scaturì la soluzione destinata sia a rimettere in sesto il motore del capitalismo, andato ormai in panne, sia a conferire nuova forza propulsiva alla democrazia liberale. Il New Deal, il nuovo corso impresso dal presidente Roosevelt, seppur non giungerà a sanare tutte le ferite, varrà infatti a rilanciare il «sogno americano» all’insegna di un nuovo genere di rapporto fra Stato e mercato e di un programma volto a coniugare riformismo politico e riformismo sociale. L’ispirazione fondamentale del New Deal era legata per tanti versi alla tradizione progressista americana, a certe sue connotazioni populiste e solidariste. Ma il suo successo fu dovuto al capovolgimento dei cardini e degli strumenti tradizionali dell’azione di governo. Con il varo di provvedimenti intesi a riassorbire la disoccupazione, e a ridurre il potere del big business, e con l’incremento della spesa pubblica per sostenere la domanda, lo Stato divenne soggetto attivo e regolatore della vita economica.

Sebbene una politica decisamente espansionistica verrà inaugurata soltanto alla vigilia della guerra, il New Deal attuò di fatto quella che l’economista inglese John Maynard Keynes aveva indicato - in un



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