Le sfide di Apollo - 5. La torre di Nerone by Rick Riordan

Le sfide di Apollo - 5. La torre di Nerone by Rick Riordan

autore:Rick Riordan [Riordan, Rick]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Mondadori
pubblicato: 2020-10-21T12:00:00+00:00


21

Un bel divano?

Un vassoio di frutta?

Non vi fidate

La cella di Nerone era il posto più bello in cui fossi mai stato imprigionato. Le avrei dato cinque stelle. Lusso sfrenato! Morirei qui un’altra volta!

Dall’alto soffitto pendeva un lampadario… un lampadario, troppo lontano per essere raggiungibile da un prigioniero. Gocce di cristallo danzavano sotto le luci a LED, disegnando riflessi a forma di diamante sulle pareti color bianco guscio d’uovo. In fondo alla stanza c’erano un lavandino coi rubinetti d’oro e una toilette automatica con il bidet incorporato, il tutto schermato da un paravento per la privacy… quante premure! Il pavimento era coperto da tappeti persiani. Due sontuosi divani in stile romano erano disposti a V ai due lati di un tavolino traboccante di formaggio, cracker e frutta; accanto c’erano una caraffa in argento piena d’acqua e due calici, nel caso noi prigionieri volessimo brindare alla nostra buona sorte. Soltanto la parete anteriore aveva l’aria di una cella, dal momento che era occupata da una fila di spesse sbarre di metallo, anch’esse rivestite – o forse fatte – di oro imperiale.

Trascorsi i primi venti o trenta minuti in cella da solo. Era difficile tenere conto del tempo. Camminai avanti e indietro, gridai, chiesi di vedere Meg. Sbattei un vassoio d’argento contro le sbarre e urlai verso il corridoio vuoto. Infine, non appena la paura e la nausea ebbero la meglio, scoprii la gioia di vomitare in una toilette di lusso con il sedile riscaldato e molteplici opzioni di autopulizia.

Cominciai a pensare che Luguselwa fosse morta. Per quale altro motivo non era nella cella insieme a me, come aveva promesso Nerone? Come aveva potuto sopravvivere allo shock di una doppia amputazione quando era già gravemente ferita?

Mentre mi stavo convincendo che sarei morto lì da solo, senza nessuno che mi aiutasse a mangiare il formaggio e i cracker, una porta sbatté in fondo al corridoio, seguita da passi pesanti e tanti grugniti. Gunther e un altro guerriero germano entrarono nella mia visuale, trascinando di peso Luguselwa. Le tre sbarre centrali all’entrata della cella scomparvero, ritraendosi nel pavimento veloci come lame inguainate. Le guardie spinsero dentro Lu, e le sbarre si richiusero di scatto.

Mi precipitai al suo fianco. Lu si rannicchiò sul tappeto persiano, tremante e schizzata di sangue. Le avevano tolto i tutori alle gambe, ed era più pallida delle pareti. I polsi erano fasciati, ma le bende erano già intrise di sangue. Scottava di febbre.

«Le serve un medico!» gridai.

Gunther mi guardò di traverso. «Non eri un dio della guarigione?»

L’amico mi rivolse un verso di scherno, poi i due si allontanarono a passi pesanti lungo il corridoio.

«Aaah» gemette Lu.

«Non mollare» le dissi. Poi feci una smorfia, rendendomi conto che probabilmente non era una cosa carina da dire considerate le circostanze. Tornai al comodo divano e frugai nello zaino. Le guardie mi avevano preso l’arco e le faretre, inclusa la Freccia di Dodona, ma mi avevano lasciato tutto ciò che non era un’arma evidente, e cioè l’ukulele fradicio e lo zaino, incluse alcune provviste mediche che Will mi aveva dato: bende, unguenti, pillole, nettare, ambrosia.



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