Le stelle vicine by Massimo Gezzi

Le stelle vicine by Massimo Gezzi

autore:Massimo Gezzi [Gezzi, Massimo]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Bollati Boringhieri
pubblicato: 2021-02-09T23:00:00+00:00


8. La prima cellula

Qual è stato il momento preciso in cui la prima cellula è impazzita? Forse di notte, mentre dormivo. Un lampo negli occhi, un sogno sbagliato, che ne so. Oppure mentre guidavo e cercavo di mettere a fuoco la strada nel buio. Avrò sentito qualcosa? Un dolore, un malessere lieve? O niente, silenzio assoluto, omertà di tutti i tessuti e tutti gli arti? Quale parte ha cominciato ad andare a male, e perché? Se il giorno prima, l’ora prima, il minuto prima avessi bevuto qualcosa di diverso, incontrato un amico, guardato un attimo il sole invece di correre in preda alla fretta, sarebbe impazzita lo stesso, quella cellula? Domande filosofiche, le chiamerebbe Cognigni. Eccolo lì, con quel ghigno storto e gli occhi strabuzzati mentre ciancia con quell’altro, come si chiama... O forse proprio qui, qui davanti a loro. In piedi davanti ai tre o quattro che mi stanno ad ascoltare, in questa classe di disgraziati. A cercare di urlare senza urlare, di emergere dal brusio e dal rumore che si ostinano a fare, nonostante io sia un professore quasi anziano, con la possibilità di bocciarli, in consiglio di classe, se continuano così.

Loro però lo sanno, che non lo farò. Non ne sono mai stato capace. Bisogna ammettere la propria impotenza, i propri limiti. Sono buono, dicono tutti. Coglione, penseranno di sicuro loro, che si riempiono la bocca di bestemmie appena possono, anche mentre spiego, qui davanti a loro, in piedi come un ebreo in preghiera. Forse è stato qui, mesi fa, mentre parlavo di Anassimandro e Anassimene, l’ápeiron che aveva tanto affascinato Ursini, che si era messo a immaginarselo come fosse un corpo fisico e io ridevo dentro di me e pensavo «Guarda che bella classe, magari stavolta...» E invece eccomi qua, quel poveraccio del professor Camboni, a cercare di farmi sentire con la mia esse strascicata in questa foresta di belve ignoranti. Dentro di me posso permettermelo...

«Smettila, Cognigni! Smettila subito o ti mando dal preside!»

«Certo, professo’! Ce vado de corsa!»

Dentro di me posso dirlo che per me sono questo: belve ignoranti allevate dalle loro famiglie dentro gabbie dorate. A voce alta non potrei formularlo, questo pensiero: mi darebbero del violento, sarei ripreso per il comportamento sconveniente, inadeguato per un docente che sa benissimo che...

Però guardateli. Guardateli. Quelle tre là in fondo, per esempio, truccate come bambole. Come cretine, a volte penso, ma lo tengo per me, certo, lo ricaccio indietro nel luogo oscuro da dove è emerso, questo pensiero. Guardate il nulla di cui sono fatti i loro visi, le loro smorfie prevedibili. Comprate anche quelle, uguali come i vestiti che indossano, i cellulari che impugnano. Uguali. Tutti uguali.

Ma che palle, professo’, con ’sto conformismo. E lei, secondo lei, sarebbe un anticonformista? Quand’è che mi ha interrotto così, Luchetti? Sì, le ho risposto, lo sono perché io...

«Prof, posso andare in bagno?»

«No, c’è già Marchetti».

«Eddai, mica facciamo le cose porche!»

E vacci, va’ in malora. Vai a schiacciare tasti e a fare faccine, va’ pure a dialogare con i tuoi simili analfabeti.



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