Le strutture del linguaggio cinematografico by Sandro Sproccati

Le strutture del linguaggio cinematografico by Sandro Sproccati

autore:Sandro Sproccati [Sproccati, Sandro]
La lingua: eng
Format: epub
editore: Mimesis Edizioni
pubblicato: 2021-06-29T14:06:12+00:00


VI.3. Il flashback bugiardo e l’autocitazione del flashback improprio

L’oggettività delle immagini a matrice fotografica, la loro propensione a creare certezze psicologiche intorno a ciò che rappresentano, vale a dire in termini semiotici il loro forte ‘referenzialismo’ [cfr. I.2], conferisce al cinematografo una sorta di virtú che è sempre pronta a rovesciarsi in un limite. In particolare, la drastica impressione di realtà di cui beneficia il significante visivo filmico, assai superiore a quella producibile dal significante verbale letterario, rende difficile gestire in un film le dimensioni della menzogna e del dubbio. Infatti, se da un lato il dispositivo finzionale che sta alla base di qualsiasi diegesi è già di per sé riconducibile a un principio di falsificazione (la ‘letteratura come menzogna’, secondo la celebre tesi di Giorgio Manganelli [1985]), dal­l’altro quel medesimo dispositivo dovrebbe poter garantire (e cioè rendere agibili, entro la cornice di una realtà sia pure fittizia) le occorrenze del vero e quelle del falso, esattamente come sono garantite ed agibili nella realtà reale; laddove il falso sarà relegato ovviamente all’ambito delle asserzioni soggettive, e dunque al libero arbitrio di un individuo che decide di mentire. In altre parole, un personaggio di finzione (immaginario ma descritto come reale) dovrebbe poter testimoniare, entro il quadro della rappresentazione narrativa, secondo verità oppure secondo menzogna, la qual duplice possibilità nel romanzo letterario si dà senza problemi. Ora il problema specifico del cinema può invece riassumersi nella seguente constatazione: le im­ma­gini sembrano essere in grado di rappresentare sempre e soltanto la verità, tanto che un regista potrà certamente far mentire un personaggio a parole, ma non potrà fare in modo che il racconto di quel personaggio, come richiede l’analessi cinematografica vera e propria, sia supportato dall’intervento di immagini che lo illustrano, a meno di voler confondere e destabilizzare lo spettatore del film. D’altra parte, affidare un lungo racconto menzognero a un personaggio parlante (ovvero limitarsi a inquadrarlo mentre parla e mente) significherebbe per il cinema rinunciare a quella specificità linguistica che è quanto lo caratterizza e lo rende potente, l’elemento visivo del suo linguaggio, in sostanza finendo per depotenziare il portato diegetico della menzogna e quasi riducendola implicitamente a qualcosa di trascurabile.

L’analessi cinematografica non è in grado di rappresentare la menzogna perché dall’istante in cui lo spettatore ne vede le immagini (dall’istante in cui il flashback si apre) tutto ciò che scorre sotto i suoi occhi acquista inevitabilmente lo stesso valore di realtà di ciò che fino a un istante prima era descritto dalle immagini precedenti, quelle relative al racconto principale. Il che significa che mettere in dubbio la veridicità nel narratore interno (se le immagini ne supportano la testimonianza) equivale a mettere in dubbio la veridicità del narratore extradiegetico, ossia del film intero. Il patto finzionale prevede – lo sappiamo – che il fruitore accetti come reale (e dunque vero) ciò che egli, ad un altro livello, sa essere prodotto di invenzione narrativa, ma mentre nel racconto letterario lo stesso patto gli consente di immaginare (all’occor­renza) come vera menzogna il contenuto diegetico



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