Leonora by Carmen Laterza

Leonora by Carmen Laterza

autore:Carmen Laterza [Laterza, Carmen]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Libroza
pubblicato: 2024-02-08T23:00:00+00:00


11

La fortezza di Castellor non poteva competere in bellezza e magnificenza con quella dell’Aliaferia.

Era meno massiccia, meno imponente, meno solida, almeno all’apparenza. Eppure, con le sue torri aguzze che sfidavano la volta celeste, era un punto nevralgico del controllo aragonese sul territorio. Averla persa significava dover ammettere che i ribelli di Urgel erano ancora forti, che la guerra civile in cui erano stati sbaragliati non aveva ancora sopito il loro orgoglio.

Ferrando contemplò in silenzio le guglie lontane della fortezza. Poi volse lo sguardo alla tenda del Conte di Luna, su cui sventolava il vessillo con il suo stemma. Aveva appena lasciato il suo signore, dopo un lungo colloquio. Ora poteva finalmente tornare dai suoi uomini.

Di tutti gli scenari in cui un Capitano delle guardie poteva muoversi, l’accampamento era quello che sentiva più suo.

Il rumore delle armi che venivano provate e pulite, il vociare concitato dei soldati che giocavano a dadi o alla morra, perfino il suono dei loro passi lenti e misurati durante la ronda. C’erano poi gli odori, familiari come quelli della sua infanzia: legna bruciata, vapore denso che usciva dai barili dove venivano temprate le lame, sudore e terra.

Ogni cosa nell’accampamento sembrava ricordargli il suo scopo: difendere, combattere, obbedire fino al sacrificio.

E Ferrando non era il solo a pensarla così: le guardie del Conte ingannavano il tempo con il gioco d’azzardo, ma si preparavano al peggio.

«Giochiamo ai dadi finché possiamo» aveva appena detto uno di loro. «Domani a quest’ora saremo sul campo di battaglia, e faremo ben altro gioco!»

Un altro batté la mano sull’elsa della spada.

«Io sono già pronto. È troppo tempo che la mia lama non beve un po’ di sangue. Mi sembra un po’ assetata.»

Gli altri ridacchiarono, senza distrarsi troppo dai dadi che rotolavano a terra.

Ferrando accennò un piccolo sorriso. C’era qualcosa di profondamente coraggioso nel modo in cui i suoi uomini si preparavano alla battaglia: senza rimostranze, senza inutili angosce, mossi solo dalla devozione alla Corona.

Purtroppo, non sarebbe stato sufficiente: le loro forze erano ben poca cosa al cospetto dei ribelli di Urgel, che erano tanti, feroci e abili. Erano la prova tangibile che non sempre era necessario seguire uno stemma o un nobile condottiero per sacrificarsi sull’altare di una causa. A volte bastava un ideale.

E pensando al comandante che lui stesso seguiva, Ferrando scosse impercettibilmente la testa. Il Conte di Luna era in preda a una furia senza pari. L’umiliazione subita davanti al convento poche ore prima, insieme al dolore per aver perso per sempre la bella Leonora, l’aveva portato sull’orlo della pazzia. Ferrando l’aveva visto scagliare con rabbia il suo elmo a terra, aveva udito da lui irripetibili bestemmie: il Conte era fuori di sé, quando invece avrebbe dovuto prepararsi alla battaglia per la riconquista di Castellor con lucidità e calma.

C’era solo da sperare che i rinforzi arrivassero in fretta. Finché non arrivavano altri uomini, infatti, sferrare un attacco sarebbe stato un suicidio. Per avere qualche speranza di riconquistare Castellor servivano arcieri, cavalieri, spadaccini. L’esercito del Conte era troppo misero, anche se aveva il suo prestigio.



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