L'età del caos by Federico Rampini

L'età del caos by Federico Rampini

autore:Federico Rampini
La lingua: ita
Format: azw3, mobi, epub
Tags: Commentary & Opinion, Political Science
ISBN: 9788852067891
editore: Edizioni Mondadori
pubblicato: 2015-09-14T22:00:00+00:00


Un’altra sorgente d’instabilità agita il resto del mondo: la religione. E anche su questa la Cina ha qualcosa da dirci. Non necessariamente qualcosa che ci piace. Ma a modo suo, il tema religioso lo ha affrontato e… risolto. Ho visto di persona la normalizzazione brutale di due regioni sconvolte da ribellioni etnico-religiose. Il Tibet e lo Xinjiang. Popolate da minoranze, un tempo indipendenti, queste vastissime aree alla periferia della Repubblica popolare si considerano colonizzate, invase dalla civiltà han. O almeno così la pensa una parte delle popolazioni autoctone, che la Cina sta cercando di sommergere sotto un’immigrazione «incentivata» degli han. La sinizzazione etnica non basta, però. Lhasa e Ürümqi, rispettivamente capitali del Tibet e dello Xinjiang, hanno ormai una maggioranza di abitanti han, immigrati dalla Cina, che detengono le leve del potere politico ed economico. Ma i «nativi» non rinunciano a lottare per i propri diritti. Negli anni in cui io vissi in Cina ci furono rivolte a ripetizione. Nel 2008 in Tibet, prima delle Olimpiadi di Pechino. Nel 2009 nello Xinjiang. Intervenne sempre l’Esercito popolare di liberazione, e non certo per «liberare» quelle regioni, ma per soffocare con le armi ogni velleità indipendentista.

In tutti e due i casi, la religione ha svolto un ruolo. I monaci tibetani che si autoimmolano dandosi fuoco sono buddisti. Nello Xinjiang gli uiguri sono dei turcomanni musulmani. Il Partito comunista cinese ha stabilito che le religioni, per non essere una minaccia alla stabilità politica, vanno messe sotto il suo controllo diretto. Ho visto i templi buddisti e le moschee islamiche «monitorate» dalle telecamere della polizia: là dentro non si deve dire nulla che possa alimentare una sfida contro le autorità centrali. È un modello di controllo-repressione che Pechino rivendica con orgoglio. Dal punto di vista dei leader comunisti cinesi, noi occidentali siamo degli ingenui. Noi che tolleriamo la proliferazione di madrase integraliste, scuole di odio e di violenza, dove imam fanatici predicano la jihad agli immigrati arabi in mezzo alle nostre società. La leadership comunista cinese è convinta che dietro i separatisti uiguri – e gli attentati che ogni tanto vengono loro attribuiti – ci siano le stesse centrali del terrore che colpiscono l’Occidente: da al-Qaeda allo Stato Islamico. Pechino è convinta che la sua ricetta genera Ordine, mentre la nostra tolleranza favorisce il Caos.

Per capirne tutte le implicazioni è utile fare un esercizio. Osservare che cosa succede, quando questa ricetta cinese viene applicata a una religione meno estranea, cioè al «nostro» cristianesimo. Quando si parla di persecuzioni contro i cristiani, raramente viene evocata la Repubblica popolare. Eppure, anche a Pechino la libertà dei cristiani subisce pesanti limitazioni, come altre libertà di pensiero e di parola: le loro messe sono spesso celebrate di nascosto, con la paura di blitz polizieschi, arresti, condanne. Il vescovo Peng Weizhao, della diocesi di Yujiang, è agli arresti domiciliari, sorvegliato dalla polizia. Gli è vietato celebrare messa o svolgere qualsiasi altra funzione. Ma Daqin, vescovo di Shanghai, è anche lui agli arresti domiciliari, da due anni. Di altri si sono perse le tracce.



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