L'età della tigre (Italian Edition) by Ivan Carozzi

L'età della tigre (Italian Edition) by Ivan Carozzi

autore:Ivan Carozzi [Carozzi, Ivan]
La lingua: ita
Format: epub
editore: il Saggiatore
pubblicato: 2019-10-20T22:00:00+00:00


* Elia Alovisi, «Sono stato a Calvairate con Rkomi», in Vice, 28 ottobre 2016.

A cosa serve scrivere?

Mi vedo con Rafik verso sera, di fronte a un giardinetto spelacchiato in piazzale Maciachini. Ho scritto una mail insolitamente breve a Marco per accennargli dell’incontro. Ha risposto «va bene», ma non mi sfugge che in realtà quel va bene significa che non va per niente bene. Il fatto che Rafik sia un riparatore di orologi non vuol dire che ci sia un buon motivo per parlarne nell’articolo. Il sospetto del caporedattore, temo, è che forse mi sto dilungando, che mi sto facendo un po’ i cazzi miei, e ciò che doveva formare il nucleo della mia indagine sulla trap si fa sempre più smarrito, remoto, come la destinazione finale di un viaggio per un’automobile che tuttavia ha sbagliato strada, si è persa, svoltando a destra e sinistra, magari con una radio accesa che insieme al paesaggio contribuisce alla distrazione del guidatore. Per quanto riguarda la prima bozza di testo spedita, Marco non si è espresso e ho il timore che non abbia gradito granché la parte dedicata al sensitivo Gustavo Adolfo Rol, specie dove mi dilungo a descrivere gli arredi della casa di via Silvio Pellico a Torino, le ambientazioni alpine della splendida carta da parati, il dettaglio delle malghe, dei ruscelli, degli stambecchi dallo sguardo pietoso, il pianoforte bianco di Rol dove Nino Rota avrebbe abbozzato la melodia per il tema del film Il padrino, le gelatiere dal coperchio in maiolica, la caffettiera piemontese a tortiglione, la figurina in porcellana di turco musicante, il cofanetto lastronato in legno rosa e infine il busto marmoreo di Napoleone, esposto in salotto, che Rol aveva scoperto scavando sotto le fondamenta di un palazzo a Parigi. Avrei pure dovuto articolare meglio il testo della mail su Rafik, non limitarmi a un accenno, anche per rispettare il tacito accordo che prevede che io sia un po’ più verboso e Marco telegrafico.

Dal momento che non abbiamo mai preso un caffè insieme, per me Marco è simile a una macchia che si allarga dietro una lastra di vetro smerigliato. Della fondamentale irrealtà dei miei interlocutori in rete ho una consapevolezza sempre parziale, maturata solo col tempo, in seguito ai contatti quotidiani intercorsi con un catalogo senza fine di donne e uomini che non ho mai visto in faccia. Vorrei usare Marco come il destinatario di una lunga lettera di sfogo con quel grande e astratto non essere, l’eggregora formata dalla somma di tutti gli sconosciuti ai quali ho scritto in questi anni per lavoro. Leggiadre caporedattrici, fumettisti introversi e notturni, musicisti scontrosi, impacciati collaboratori di Linus con qualche credito in sospeso, artisti visivi fragili e poveri in canna, direttori di giornale sgraziati, autrici radio e tv pronte al gioco di parole, segretarie zelanti, affaticati e opachi scrittori, uffici stampa donna abituate a sprizzare entusiasmo per nascondere la croce di un’intera fatiscente economia che gli grava sulle spalle, illustratori non abbruttiti e ingenui, scattanti social manager, agenti dalla parlantina facile che salutano sempre con «un grande abbraccio».



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