Liberata by Domenico Dara

Liberata by Domenico Dara

autore:Domenico Dara [Dara,Domenico]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Feltrinelli Editore
pubblicato: 2024-08-27T00:00:00+00:00


I giorni brevi della speranza

“Marina”, Mensile di fotoromanzi – attualità – varietà

Anno XV, nr. 169, Sped. abb. post. Gr. III – 70, 250 lire

Uno dei motivi per cui gli insetti sono così numerosi, e non si sono mai estinti, e si trovano a ogni latitudine della terra, è la loro capacità di metamorfosi.

Non un semplice cambiamento, una crescita, uno sviluppo, ma una vera e propria successione di vita e morte.

Exuvia si chiama la parte che si abbandona, non come per gli uomini un capello, un frammento di pelle, il vigore dei muscoli che si offre in cambio della permanenza terrena, ma un corpo quasi intatto, un intero esoscheletro, la forma esterna dell’animale: un altro sé stesso. Oreste le aveva detto che era una parola latina e aveva a che fare con lo spogliarsi di qualcosa, e gliel’aveva detto un giorno di tanti anni prima che aveva raccolto l’esuvia di una cicala e gliel’aveva messa in mano, e Liberata l’aveva guardata con lo stupore delle cose nuove e meravigliose, un guscio trasparente, come se la pelle fosse stata un vestito che ci si poteva togliere e rimettere, un guscio che era la riproduzione perfetta di una cicala ma senza nulla dentro, una corazza, una fortezza, la forma visibile del trascorso.

Ogni volta che succedeva qualcosa d’importante e misurava il procedere del tempo, Liberata ripensava all’esuvia. Naturalmente, quello che lei considerava importante era accaduto solo nel mondo invisibile della sua testa.

Liberata credeva che non le sarebbe mai accaduto un evento così importante da far pensare a una vera e propria metamorfosi: ci sperava, lo immaginava, ma la sua era un’immaginazione che bastava a sé stessa, pensare intensamente una cosa era come averla vissuta.

Ebbe voglia di vederla, l’esuvia di quella volta. Il padre l’aveva spillata e conservata dentro una delle sue scatole entomologiche con sopra la data del ritrovamento. Andò in soggiorno.

Uomini e insetti. O meglio, i loro surrogati. Gli insetti a sinistra e i fotoromanzi a destra, e lei al centro, da dove poteva osservare entrambi i mondi con un colpo d’occhio. Si avvicinò alla teca con l’esuvia della cicala, e per un attimo sentì come una puntura d’invidia per la condizione di quegli insetti, per quella teca che li proteggeva dal mondo, per quello scudo trasparente che li faceva vedere ma senza che nulla potesse scalfirli, questo essere sempre e comunque sé stessi, fermati forse nel momento di massimo splendore, a non conoscere il tempo che invecchia, le rughe intorno agli occhi e l’affanno del respiro, questo loro essere fuori dal tempo solo per essere semplicemente visti. Che forse a Liberata le storie dei fotoromanzi, racchiuse in parallelepipedi bianchi, piacevano anche perché erano la sua teca, l’ambra che la isolava dai contrasti del mondo e dai suoi turbamenti e dalle sue inquietudini. Forse stava cambiando, forse stava abbandonando la sua esuvia, e questo la spaventava. Forse per questo si trovava lì.

Guardò dall’altra parte del soggiorno. Franco Gasparri la fissava dalla copertina. Gli si avvicinò. Le parve che avesse uno sguardo diverso dal solito, non rimprovero, ma rammarico.



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