Life by Keith Richards & James Fox

Life by Keith Richards & James Fox

autore:Keith Richards & James Fox [Richards, Keith & Fox, James]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Biography & Autobiography, Entertainment & Performing Arts, Music, Genres & Styles, Pop Vocal, Individual Composer & Musician
ISBN: 9788807723483
Google: qcCHtwAACAAJ
editore: Feltrinelli
pubblicato: 2012-11-14T22:00:00+00:00


Dickinson era un pianista favoloso. Probabilmente, all’epoca lo presi davvero per un musicista country, per il semplice fatto che era del Sud. Con il tempo, ho scoperto che era molto più poliedrico. Suonare con gente come lui era un colpo di fortuna, perché il fatto di essere una “star” ti intralciava, c’erano tantissimi musicisti che avevi sentito e con i quali avresti voluto suonare, ma l’occasione non si presentava mai. E così, lavorare con Dickinson, penetrare a fondo nell’atmosfera del Sud ed essere automaticamente accettati laggiù, fu fantastico. Ci dicevano: siete di Londra? E come diavolo fate a suonare così?

Jim Dickinson, che era l’unico musicista presente a quella session, oltre ai Rolling Stones e Ian Stewart, rimase perplesso quando il terzo giorno mettemmo sotto Wild Horses e Ian Stewart si chiamò fuori. Wild Horses inizia con un si minore, e Stu si rifiutava di suonare gli accordi minori, “musica cinese del cazzo”. Fu così che Dickinson venne ingaggiato per suonare in quella traccia.

Wild Horses si scrisse quasi da sola. Ancora una volta, fu in gran parte frutto del mio cazzeggiare con le accordature. Avevo trovato un giro di accordi che dava alla canzone, specie su una dodici corde, un carattere e un sound particolari. La dodici corde può trasmettere una certa desolazione. Mi ero messo a strimpellare, credo, su una sei corde standard con accordatura aperta in mi, e il suono era molto bello, ma alle volte ti vengono strane idee. E se provassi un’accordatura aperta su una dodici corde? Di fatto, significava tradurre ciò che faceva Mississippi Fred McDowell – la tecnica slide sulla dodici corde – nella modalità a cinque, ovvero su una chitarra a dieci corde. Ora ne posseggo un paio fatte su misura, a quello scopo. Fu uno di quei momenti magici in cui tutto si incastra. Come per Satisfaction. La senti in sogno, e d’un tratto ce l’hai tra le mani. Voglio dire, se hai in mente l’immagine dei cavalli selvaggi – i wild horses del titolo – quale sarà il verso successivo? Couldn’t drag me away, non riusciranno a trascinarmi via. Ecco una delle cose eccezionali dello scrivere canzoni; non è un’esperienza intellettuale. Qua e là ti toccherà usare il cervello, ma per lo più si tratta di fissare degli istanti. Jim Dickinson, Dio lo benedica – è morto il 15 agosto del 2009, mentre scrivevo questo libro –, più avanti dirà di cosa “parla” Wild Horses. Non so. Non ho mai pensato che scrivere canzoni sia come tenere un diario, anche se con il senno di poi mi sono accorto che spesso non c’è molta differenza.

Che cosa ti spinge a scrivere canzoni? In un certo senso, la volontà di allungare la mano e toccare il cuore degli altri. Vuoi entrare là dentro, o quanto meno produrre una risonanza, in modo da fare delle altre persone uno strumento più grande di quello che stai suonando. Arrivare agli altri diventa quasi un’ossessione. Scrivere una canzone che sarà ricordata e interiorizzata è una forma di contatto, una connessione.



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