L'illusione del bene by Cristina Comencini

autore:Cristina Comencini [Comencini, Cristina]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Feltrinelli Editore
pubblicato: 2010-10-17T22:00:00+00:00

Caro compagno occidentale, ti scrivo e spero che queste mie parole, che hanno ancora un senso per me, ti raggiungano. Non so se sia giusto chiamarti così о se sarebbe meglio definirti amico, mettere la giusta distanza fra un individuo e l’altro.

Quanti errori si fanno quando una persona ti appare troppo mischiata a te, ai tuoi desideri, alle tue aspirazioni о vendette! Mi chiamo Irina Arens, sono nata nel 1953

in una famiglia di Leningrado già decimata dalla morte. Mio padre è scomparso in un campo di lavoro (non sappiamo dove né come). Durante l’assedio aveva perso per fame e freddo la prima moglie e i due figli. È stato un comunista fino alla fine dei suoi giorni. Comunista ammazzato dai comunisti. Sono cresciuta con mia madre e col fantasma di mio padre: avevo un anno quando lo hanno portato via. Cerco di essere chiara, razionale, non voglio confondermi, né piangere, né compatirmi. Ho gettato via le pasticche che mi danno, ma non posso sottrarmi alle iniezioni giornaliere. Il mio desiderio è comunicarti qualcosa che ho capito qui.

Nell’ospedale, ma anche prima, nel carcere dei nostri giorni familiari, nell’infanzia inconsapevole, nell’adolescenza in cui avevo sete di sapere. Se queste mie parole arriveranno a qualcuno (basta uno) la mia testa non avrà lavorato invano. Preferisco parlare di testa. I sentimenti mi fanno paura, anche le passioni. Le poesie in cui siamo maestri, così care ai nostri cuori! Diffido, diffido del cuore, dell’amore.

L’amore che usano per cambiarti, per trasformare i tuoi pensieri, l’amore per gli altri, l’amore di chi ti vuole salvare, l’amore di chi ti dà la vita, l’amore di chi te la riprende in nome dell’amore universale. L’amore mi appare un altro modo di dire odio. Non ti spaventare, non sono pazza, ci diventerò qui dentro, a poco a poco, ha notte mi dicono che urlo, non me ne rendo conto. Di giorno riprendo a ragionare sulle cose che so, che ho studiato, e mi pare di non impazzire.

Ho scelto di studiare economia perché volevo capire la realtà. Marx indicava la strada: le idee degli uomini, le loro credenze, i loro affetti, dipendono dal modo di produzione della vita materiale. In quegli anni non pensavo a mio padre, alla sua morte. Non volevo sapere niente. Un padre che muore è un perdente, deve aver avuto torto. Si era fatto arrestare perché non aveva saputo difendere le sue ragioni.

Com’ero baldanzosa e piena di me! Non avevo paura di niente! I miei professori mi incoraggiavano a prendere le distanze dal mio nome, da quello di mio padre. Odiavo mia madre che non aveva saputo aiutarlo a non morire. Si occupavano d’arte! Io no, io volevo conoscere e capire la realtà! Per anni ho studiato e sottolineato le equazioni marxiste del processo di produzione, della trasformazione del denaro in capitale, la formazione del plusvalore assoluto… Studiavo all’interno di un’idea guida, inconfutabile: il capitalismo era destinato a crollare ovunque. Per evitare aumenti di salario il capitalista avrebbe sostituito sempre più l’operaio con la macchina, fino al

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