Limonov by Emmanuel Carrère

Limonov by Emmanuel Carrère

autore:Emmanuel Carrère
La lingua: it
Format: mobi, epub
editore: Adelphi
pubblicato: 2012-12-22T03:10:44+00:00


A Parigi c’erano due persone che non si univano al tripudio generale: mia madre e Limonov. Mia madre era felice per lo sgretolamento del blocco sovietico, sia perché lo avversava in quanto figlia di russi bianchi, sia perché lo aveva previsto. Ma non sopportava che il merito venisse attribuito a Gorbačëv. Secondo lei, tutto accadeva suo malgrado (penso che mia madre avesse ragione, ma che sia proprio questo a fare di Gorbačëv una figura storica tanto affascinante). Gorbačëv non era un liberatore, si limitava a lasciare che gli altri lo prendessero in parola, si faceva forzare la mano, e frenava per quanto poteva un processo che aveva messo in moto per imprudenza. Era insieme un apprendista stregone, un demagogo e un bifolco che, colmo di ineleganza agli occhi di mia madre, parlava un russo spaventoso.

Su tutto ciò Eduard era d’accordo con lei. La popolarità di Gorby, come dicevano quelli che cominciavano a chiamare Mitterrand «Zio», gli aveva dato fastidio sin dall’inizio: il capo dell’Unione Sovietica non deve piacere a quegli stronzetti di giornalisti occidentali, deve fargli paura. Quando alcuni amici ingenui gli dicevano: «Che tipo formidabile. Sarai contento», Eduard li guardava come un cattolico di stretta osservanza guarderebbe chi si congratulasse con lui per l’elezione a papa di un teologo della liberazione. Non gli piaceva la glasnost’, né che il potere recitasse il mea culpa, e meno ancora che per riuscire gradito all’Occidente esso abbandonasse i territori conquistati con il sangue di venti milioni di russi. Non gli piaceva vedere Rostropovič, ogni volta che veniva giù un muro, accorrere con il suo violoncello e suonare con aria ispirata le suite di Bach sopra le macerie. Non gli piaceva trovare in un negozio di articoli militari d’occasione un cappotto da soldato dell’Armata Rossa, e accorgersi che i bottoni di ottone della sua infanzia erano stati sostituiti da bottoni di plastica. Un particolare, ma un particolare che, secondo lui, diceva tutto. Quale immagine poteva avere di se stesso un soldato ridotto a indossare divise con bottoni di plastica? Come poteva combattere? A chi poteva fare paura? Chi aveva avuto l’idea di sostituire il lucido ottone con quella merda fabbricata in serie? Certo non l’alto comando, forse uno stronzo di civile chiuso nel suo ufficio che aveva ricevuto l’incarico di ridurre le spese, è così che si perdono le battaglie e crollano gli imperi. Un popolo i cui soldati sono infagottati in divise a buon mercato è un popolo che non ha più fiducia in se stesso e non ispira più rispetto ai vicini. È un popolo che ha già perso.



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