L'isola dei bambini rapiti (Italian Edition) by Frida Nilsson & Anna Grazia Calabrese

L'isola dei bambini rapiti (Italian Edition) by Frida Nilsson & Anna Grazia Calabrese

autore:Frida Nilsson & Anna Grazia Calabrese [Nilsson, Frida & Calabrese, Anna Grazia]
La lingua: ita
Format: epub
ISBN: 9788858828175
Amazon: B06ZZJRMW1
editore: Feltrinelli Editore
pubblicato: 2017-04-06T00:00:00+00:00


Il pescatore d’alto rango

Così scorrevano i giorni a Seglen. I miei capogiri, davvero fastidiosi all’inizio, a poco a poco si erano attenuati, cosa che aveva notato anche Einar. Avevo infatti sempre meno bisogno del suo sostegno per salire o scendere le scale. Ma Einar era consapevole anche del fatto che più i capogiri diminuivano, più si avvicinava il momento del mio addio. Credo che ne fosse molto dispiaciuto.

Una sera eravamo tutti e tre seduti al tavolo a mangiare. Zuppa di pesce. Era davvero gentile, Anna Ferrosa, a sfamarmi e a darmi un letto caldo nella sua dimora, e per giunta senza avermi mai chiesto chi fossi, da dove venissi o per quale ragione mi trovassi al largo dei ghiacci.

Come se mi avesse letto nel pensiero, mi disse:

“Puoi restare qui finché vuoi”.

Abbassai lo sguardo sul piatto, osservando i pezzettini di pesce che si amalgamavano con il grano d’orzo. Mi piaceva la zuppa di Anna Ferrosa. Era insaporita con levistico e altre spezie.

“Ormai i capogiri sono quasi spariti, riesco a stare ben ferma sulle gambe,” dissi. “Non manca molto al momento della mia partenza.”

Anna Ferrosa appoggiò la sua mano sulla mia. Mi guardò a lungo negli occhi, sembrava un pochino dispiaciuta.

“Dovunque tu vada e qualunque cosa tu faccia, mi auguro che ne valga la pena,” disse. Continuò a guardarmi con gli occhi ridotti a due fessure, poi aggiunse: “A Seglen non permettiamo ai bambini di andare in mare da soli”.

“Lo so,” sussurrai.

“E se tu fossi stata mia figlia ti avrei legata alla porta pur di non lasciarti andar via,” proseguì. “Ora, tu non sei mia figlia, lo so, eppure… eppure ho la sensazione che sia meglio che io non ne sappia niente.”

Annuii ancora. Sì, era meglio che non ne sapesse niente. Se voleva stare con l’anima in pace, in ogni caso. L’avevo sentita ripetere quella storia che i bambini devono guardarsi dal mare almeno due o tre volte. Non mi avrebbe mai permesso di partire, se avesse saputo.

“Ti libererai presto di me, te lo prometto,” le dissi.

Anna Ferrosa non replicò, ma se ne andò a sbrigare alcune faccende. Al suo ritorno guardò Einar che aveva finito di mangiare e ora teneva lo sguardo fisso sul tavolo.

“Cos’è quel muso?”

“Non ho il muso,” rispose lui riprendendo a rimpinzarsi di zuppa.

Il giorno dopo Anna Ferrosa era uscita per andare a consegnare un paio di pantaloni che aveva rammendato a un vecchietto. Io ero seduta accanto alla finestra, intenta a guardare la strada sconnessa in fondo alla quale si era dileguata. Sentii una fitta allo stomaco al pensiero della grande città a pochi passi là fuori. La città di cui tante volte avevo parlato a Miki. La città su cui mi ero fatta tante domande. Feci scorrere le dita lungo il telaio della finestra. Era ammuffito. Fra le mura di questa casupola mi rendevo conto a malapena di stare a Seglen. Mi sentivo invece come a casa, preciso identico. C’era anche lo stesso odore. Ma ben presto pensai… ben presto uscirò fra le stradine lastricate di pietre… Un’altra fitta allo stomaco.



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