L.O.V.E. by Giancarlo Liviano D'Arcangelo

L.O.V.E. by Giancarlo Liviano D'Arcangelo

autore:Giancarlo Liviano D'Arcangelo [D'Arcangelo, Giancarlo Liviano]
La lingua: ita
Format: epub
editore: il Saggiatore
pubblicato: 2020-02-20T23:00:00+00:00


21. Il lungo cammino verso il tesoro

1960-1977

Il mondo non c’è più, io debbo reggerti.

P. Celan, «Grande, infuocata volta», Svolta del respiro

Mio padre mostrava sintomi d’insofferenza che disconoscevo quando il passo ticchettante del dottor Daumann, sotto forma d’eco in dissolvenza, incupiva l’atmosfera già spettrale della clinica.

Il ticchettio rimbalzava dai pavimenti di marmo maculato alle pareti bianchissime dei corridoi, per riecheggiare come scrosciate di grandine nelle stanze dei pazienti.

Italo si rigirava nel letto nervosamente, come se l’alternarsi sincopato del rumore al silenzio che percepiva fosse l’avvisaglia acustica di un lungo viaggio attraverso il nulla. Era costretto a concentrarsi per regolarizzare il suo respiro, e spesso finiva per ansimare. Non l’avevo mai visto così timoroso, nemmeno di fronte a decisioni che potevano influire pesantemente sul futuro della Sunrise, e non fu travolto da quella penombra proibita neppure al momento di sollevare da terra il corpo mutilato di mio fratello, nel deserto di Baiji.

Nella mia visione, che tendeva ingenuamente alla cristallizzazione, mio padre Italo Giordano era un toro imbottito di steroidi che caricava a scopo omicida ogni soffio d’aria in rivolta alla sua volontà. Daumann, con le sue ricette, con i suoi farmaci e con le sue tabelle di somministrazione, era il certificato medico in grado di polverizzare l’abbaglio che mio padre aveva innalzato a scenografia della sua vita: il mito dell’autarchia assoluta. Era un’onta che un uomo cresciuto in ambienti accademici, che mio padre considerava campi di concentramento per deboli incapaci di comprendere le vere difficoltà della vita, detenesse un potere così vasto sulla sua tranquillità. Quando Daumann si esprimeva, Italo non capiva neppure una parola, eppure doveva subire, anzi di più, obbedire. Daumann sciorinava la lista di antiaritmici, di anticoagulanti, di betabloccanti, di antipertensivi, di diuretici, di vasodilatatori, e indicava dosaggi e quantità da cui non si poteva trascendere. Il nostro interprete spiegava i perché e i percome, i benefici e gli effetti collaterali di ogni pillola. Le infermiere gliele portavano all’orario esatto e lo trattavano come un bambino tetraplegico.

Istruzione dopo istruzione, subordinazione dopo subordinazione, Italo subiva la sua nemesi. Era come se in un filmato impostogli attraverso la Cura Ludovico rivedesse in massa gli sguardi subdoli e le schiene curve degli uomini che aveva rovinato, i sorrisi marcescenti di quelli che l’avevano aiutato, i muscoli tesi dei bulloni umani che indirettamente avevano partecipato all’ingrassamento del nostro impero e l’aria mesta dei molti soggiogati.

La sua valvola di sfogo fu proseguire il racconto dettagliato di come la ricchezza più perturbante si fosse catapultata sulla famiglia. Daumann, informato delle lunghe sedute di confessione padre-figlio continuò a vedere la cosa di buon occhio. Si accorgeva di come mio padre riusciva a combattere la malinconia attraverso quel collage di ricordi, anche se in privato mi chiedeva di non esagerare con le domande specifiche, che spossavano il sistema nervoso e provocavano sforzi mnemonici fin troppo duri. Insisteva molto su quest’ultima accortezza: si raccomandava di continuo di alternare i nostri discorsi a fasi di riposo assoluto. Mi consigliava di concedergli molte pause, per non generare in lui la



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