L'ultimo giorno di scuola by James Goodhand

L'ultimo giorno di scuola by James Goodhand

autore:James Goodhand [Goodhand, James]
La lingua: ita
Format: epub
editore: RIZZOLI LIBRI
pubblicato: 2021-05-11T12:00:00+00:00


13,13

Amit non si muove. È seduto lì, a bloccare la porta dell’infermeria da almeno cinque minuti ormai. E sono minuti di quelli lunghi, di quelli composti interamente da ogni singolo secondo. Non dà neanche l’impressione di essere a disagio.

Fruga nello zaino e tira fuori il portapranzo. Con uno strappo, apre completamente la sua confezione di patatine e sistema il pacchetto sulla sedia accanto a lui. Poi scarta un sandwich a tre piani – uno di quegli spuntini alla Scooby Doo per cui è famoso – aprendo la bocca a più non posso per dargli un morso enorme.

«New York Club, Morky» dice. «Ne vuoi uno? È pieno di quei cetriolini che ti piacciono.»

«Devi farmi uscire, Amit.»

«Mangio solo qualcosina. Prendine anche tu, se vuoi.»

Mi afferro i capelli. Perché gli permetto di bloccarmi qua? Perché non riesco semplicemente a trascinarlo via da quella sedia? Perché non lo scaravento a terra una volta per tutte?

«Ti ricordi di queste?» dice Amit, infilando di nuovo la mano nello zaino. Poi lancia sul lettino un mazzo di carte avvolte con un elastico. «Le ho trovate l’altro giorno. Top Trumps. Il mazzo delle supercar. Te le ricordi? La scuola media non sarebbe stata la stessa senza queste carte.»

Lo guardo di traverso, spazzando via le carte dal lettino e facendole scivolare sul pavimento. Poi salto in piedi, dandogli le spalle e guardando il muro. Dall’altro lato della scuola, il mio zaino giace incustodito. Devo uscire da qua. Ho già compromesso troppo il Piano.

Mi volto e gli vado incontro a passo deciso, fermandomi solo quando la mia faccia è a pochi millimetri dalla sua.

«Togliti dal cazzo.» Gli sputo addosso ogni parola.

Amit indietreggia sulla sedia. Il sandwich gli cade sulle gambe. «Morky?»

«Smettila di ridere di me.»

«Non sto ridendo» piagnucola.

«Questo non è tutto uno scherzo.»

«Ehi, calmati. Per favore.» Gli trema il labbro. Si strofina l’occhio sinistro con il dorso del polso.

Sono proprio sopra di lui. Sussulta quando allungo la mano oltre la sua testa per afferrare la maniglia della porta. Sono sicuro che, se trascinassi la porta per aprirla, potrei spingere via di mezzo lui e la sua sedia.

«Perché fai così?» Mi guarda dal basso verso l’alto con gli occhi umidi e indifesi.

Faccio un passo indietro. «Potevi starne fuori, Amit. Ma non ce la facevi, giusto?»

La prossima volta ce ne sarà per tutti.

Scuote la testa, un’espressione confusa gli contorce il viso. «Non so cosa dire, Morky. Non so cosa ti aspetti che dica.»

«Non dire niente. Togliti solo di mezzo e fammi andare avanti con le cose che ho da fare.»

Si alza tremando e allarga le braccia, con le mani aperte verso di me.

«Non provarci neanche» dico bruscamente, senza riuscire a tenere il volume della voce sotto controllo. Ho il viso in fiamme. Una lacrima fredda si fa strada lungo ogni guancia.

«Non ci sto provando, amico.» La sua voce rotta spezzetta la frase. «Voglio solo capire come mettere a posto le cose.»

«È troppo tardi!» Mi fa infuriare la mancanza di autorità nella voce, il tono sottile con cui escono le mie parole. Perché non riesco a farlo senza piangere? Tendo ogni muscolo del viso e lo guardo dritto in faccia.



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