L'urlo di Fedra by Laura Shepperson

L'urlo di Fedra by Laura Shepperson

autore:Laura Shepperson [Laura Shepperson]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Newton Compton Editori
pubblicato: 2023-03-14T23:00:00+00:00


Medea

Tornai ancora a trovarla. Come facevo a resistere? Ero attirata da lei, come l’onnipotente Zeus dalle donne, allettata da quanto diceva Fedra sul piano degli dèi per punire Teseo. Io non credevo negli dèi, ma lei? Pensava davvero che ci fosse un piano divino, o che fosse tutta una finzione, una copertura per qualche sinistra macchinazione? Né il rischio di essere sorpresa, né il dolore che comportava rivivere ogni volta le mie decisioni passate riuscivano a superare la mia voglia di saperne di più e di capire.

Poche notti dopo, m’inoltrai di nuovo lungo quei passaggi polverosi verso le squallide stanze che già conoscevo. Trovai ancora una volta la principessa sveglia, seduta a contemplare la sua parete dipinta. Fui contenta di non dover rivedere la sua scorbutica ancella.

«Vostra maestà», la salutai.

«Vostra maestà», ripeté lei con un cenno del capo. Se non fosse stata lei, l’avrei ritenuta un’insolenza.

«Chiamatemi Medea», proposi, mettendomi a sedere su una sedia, per quanto me lo permettesse il risicato spazio disponibile. Mi domandai ancora di chi fosse stata l’idea di mettere in quello stambugio un tavolo così sproporzionato, dato che occupava quasi tutto lo spazio. Probabilmente di nessuno. Serviva un tavolo, e ne avevano portato qui uno che non veniva usato. Nessuno aveva dedicato alla questione più di mezzo pensiero. «Siamo cugine, in fondo».

«Sì», confermò lei. «Siamo cugine. Le nostre madri forse si frequentavano; non saprei».

Ne dubitavo. Mia madre era la maggiore di cinque sorelle, mentre la sua era la figlia minore. Capita, a volte, che una ragazza più grande adotti un piccolino, un po’ come un animaletto da compagnia. Forse mia madre aveva dato fondo a tutto il suo istinto materno occupandosi delle sorelline. Misi da parte quel pensiero, ci avrei riflettuto un’altra volta.

«Medea», ripeté lei, arricciando le labbra su quelle sillabe nuove, come un ragazzino appena entrato nell’età adulta a cui viene permesso di chiamare il tutore per nome. «Desideravo parlarvi di una cosa. Avete mai udito il coro della notte?».

La guardai senza capire. «Cos’è, una commedia?».

Lei, seria in volto, scosse la testa. «Non starò diventando matta?»

«Ma di che parlate?». Mi dispiaceva vederla turbata, ma preferivo comunque questa conversazione alla nostra ultima.

«La notte sento piangere le donne», mi confidò.

«Oh, ce ne sono tante di donne che piangono la notte». Alzai la mano, la feci ricadere. «Qui nel palazzo è un campo di battaglia. Vi sconsiglio di avventurarvi fuori, con il buio».

«Ma voi lo fate», obiettò. Feci per rammentarle che avevo il doppio dei suoi anni, che avrei potuto essere la madre della maggior parte dei ragazzi che frequentavano la corte, e che per di più ero ritenuta una strega. Ma lei continuò; le interessava parlare di questo argomento, e nient’altro. «Comunque, non è un pianto normale. In queste stanze siamo troppo lontane da chiunque perché ci giunga da qualche casa». Annuii, incoraggiandola a continuare. «No, sono come voci che mi risuonano in testa, si parlano, a volte in un botta e risposta, altre parlano all’unisono. Per questo le chiamo il coro notturno».

«E che cosa si dicono?». Mi resi conto che ero tutta protesa in avanti.



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