Marcinelle, 1956. Quando la vita valeva meno del carbone by Toni Ricciardi

Marcinelle, 1956. Quando la vita valeva meno del carbone by Toni Ricciardi

autore:Toni Ricciardi [Ricciardi, Toni]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: History, General, Social Science, Emigration & Immigration, Disasters & Disaster Relief, Technology & Engineering, Industrial Health & Safety
ISBN: 9788868435066
Google: 3wedDAEACAAJ
editore: DONZELLI EDITORE
pubblicato: 2016-10-15T06:31:21+00:00


2. Lo shock della prima discesa.

[Appena arrivato] a me hanno trovato un poco di albumina nell’urina e per questo ho dovuto ripassare la visita ancora lunedì prima di scendere nella mina, mentre i compagni miei erano già scesi venerdì. L’anziani mi dicevano: «bevi nu bicchiere di birra che l’urina si pulisce», ma io non sapevo nemmeno cos’era la birra9.

Staccato l’ultimo tagliando della visita all’arrivo, alla quale generalmente venivano sottoposti il giovedì pomeriggio, il venerdì mattina i nuovi minatori facevano conoscenza, la stragrande maggioranza per la prima volta nella loro vita, con le viscere della terra. Questo momento rappresentava, dopo le peripezie del viaggio, il trasporto su camion di fortuna e gli alloggi, il primo vero shock per questi volontari indotti. Dopo le prime ore in fondo alla mina, in media 250-500 minatori – un quarto, se non a volte la metà dell’intero contingente arrivato – stracciavano il contratto chiedendo a tutti i costi di essere destinati ad altra occupazione se non addirittura di essere rimpatriati immediatamente10.

Per esempio, un gruppo di sette operai provenienti dalla provincia di Chieti, nel febbraio del 1952, dopo avere preso visione solo in superficie della miniera, dichiarò di non voler nemmeno scendere nel fondo e chiese di essere rimpatriato in Italia. Il delegato che li accompagnava provò in tutti i modi a persuaderli, ma non ci fu verso. I sette dichiararono all’ufficio provinciale di Chieti che nessuno aveva detto loro che dovevano lavorare in fondo alla miniera, né aveva spiegato in cosa consistesse il lavoro. Dopo molte insistenze, il delegato riuscì a convincere il direttore della miniera a farli lavorare una decina di giorni in superficie, trascorsi i quali si sarebbero convinti a scendere. Nonostante il direttore avesse acconsentito, rifiutarono di lavorare perfino in superficie, pretendendo di rimpatriare a tutti i costi11. La storia dei sette abruzzesi, una delle migliaia in quegli anni, dimostra l’approssimazione o la dichiarata volontà da parte italiana di spedire più braccia possibili e testimonia l’ingenuità dei malcapitati, ignari di cosa da lì a poco li attendesse.

Più volte il ministero del Lavoro dovette sollecitare e redarguire le proprie strutture territoriali, intimando di fornire spiegazioni più dettagliate, come previsto dall’art. 5 dell’accordo minatori-carbone. E nonostante l’art. 12 dell’annesso all’accordo sottoscritto nell’aprile del 1947 prevedesse che «i lavoratori giudicati inadatti al lavoro di fondo in seguito a certificato rilasciato dal medico dell’azienda carbonifera, saranno autorizzati ad impiegarsi in altro settore economico aperto all’immigrazione»12, queste autorizzazioni furono rarissime.

Invece, divenne prassi, non prevista in nessuno degli accordi – e le strutture organizzative italiane si guardarono bene dal diffonderne notizia –, quella di fare «soggiornare» in carcere quanti si rifiutavano di scendere in fondo alla mina.

Migliaia furono le storie come quella di Tano, uno dei protagonisti di Cuori nel pozzo, che all’inizio non ebbe la forza di resistere alla sensazione di essere sepolto vivo, cercando di andarsene a tutti i costi – «per uno che se ne va, sempre ammesso che lo lascino andare, dieci ne arrivano» – e che fu trasferito di forza al Petit-Château13. Eppure,



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