Marte. L'ultima frontiera by Sarah Stewart Johnson

Marte. L'ultima frontiera by Sarah Stewart Johnson

autore:Sarah Stewart Johnson [Johnson, Sarah Stewart]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Scienza
ISBN: 9788892740747
editore: Sperling & Kupfer
pubblicato: 2021-02-08T23:00:00+00:00


Un giorno, inaspettatamente, ricevetti un invito per andare a veder giocare i Dodgers. Steve avrebbe dovuto dare il calcio d’inizio alla partita e il mio nome, insieme con altri due, era stato estratto a sorte per accompagnarlo. Entrando nello stadio, mi diedero un adesivo blu a forma di palla da baseball, con sopra scritto in lettere cubitali azzurre OSPITE PRE PARTITA. Lo attaccai alla giacca e seguii Steve sul campo. Avevamo portato con noi un modellino del rover, che mostrammo ad alcuni giocatori mentre le gradinate dello stadio cominciavano piano piano a riempirsi.

Poco prima dell’inno nazionale, uno degli arbitri ci segnalò che era arrivato il momento di andare sulla pedana del lanciatore. Mentre percorrevo il campo, l’erba corta e verde sembrava spuntare da sotto i miei piedi. Sollevai lentamente la testa, cercando di abbracciare tutto lo stadio: c’erano bandiere che sventolavano e, in lontananza, palme. Dove finiva l’erba e cominciava la terra inciampai leggermente, quindi mi fermai accanto alla pedana, nel centro esatto di quell’enorme stadio.

L’annunciatore presentò la nostra missione attraverso l’altoparlante, snocciolando tutta una serie di statistiche a testimonianza del nostro successo. Sul maxischermo, appena sopra la pubblicità di una catena di ristoranti, fu proiettata un’animazione dell’atterraggio del rover. Mentre lo stadio risuonava di applausi, tutto mi parve rallentare. Sentivo il calore della terra marrone che avevo calciato con il sandalo, i suoi granelli che mi passavano dolcemente tra le dita dei piedi. Mi rendevo conto che avrei dovuto salutare, ma rimasi lì impalata, incapace di distogliere lo sguardo da quella folla brulicante. Eccoci qui: una specie, migliaia di vite umane, di piccoli corpi disposti in file fino a toccare il cielo.

Quella sera andai al JPL, passai il badge nel tornello e vagai per il campus fino a quando mi ritrovai nell’Edificio 264, dove, completamente sola, sedetti su una delle sedie azzurre con lo schienale alto. Mi tornava in mente quella piccola tribù di scienziati con i piedi sulla pedana del lanciatore nello stadio inondato di sole ma con la testa da tutt’altra parte, in un luogo lontano, lontanissimo. Mi colpì l’idea che mentre la missione aveva assorbito ogni mio pensiero, la mia vecchia vita a Boston aveva cominciato a svanire: non facevo più cose normali come andare in banca o comprarmi un paio di calze, parlavo sempre meno con gli amici e con la mia famiglia. Guardando i tifosi allo stadio, però, mi ero nuovamente e improvvisamente ritrovata al centro del mondo che mi ero lasciata alle spalle: un mondo umano. Mi chiedevo se Lowell si fosse sentito allo stesso modo quando aveva abbandonato il suo telescopio ed era tornato a Sevenels dall’arido deserto dell’Arizona. Pensai a Dollfus che precipitava nel buio in un pascolo di mucche.

Eravamo arrivati su Marte. Immaginando lo spazio come un gigantesco mare, era come se avessimo raggiunto l’atollo più vicino. Avevamo solcato un’oscurità punteggiata di isole rade, fino a toccare terra. Ora stavamo esplorando quel nuovo mondo come avrebbe fatto un fringuello irrequieto, saltellando fra le rocce.

Potevamo addirittura vedere le nostre tracce dall’orbita, anche se in modo appena percettibile.



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