Materada by Fulvio Tomizza

Materada by Fulvio Tomizza

autore:Fulvio Tomizza
La lingua: ita
Format: azw3, epub, mobi
ISBN: 8497890272
editore: Mondadori
pubblicato: 1959-12-31T23:00:00+00:00


VIII

La voce ormai si era sparsa; i mietitori avevano parlato. Molti ci davano ragione; mi fermavano, dicevano: “avete fatto bene, avete mietuto sul vostro; vostro zio non è mai stato un uomo onesto”. Oppure dicevano: “e noi che credevamo che andaste da sempre avanti nella più bella armonia, l'uno per l'altro! No, non doveva fare quello che ha fatto. Non siete sangue suo e lui non è ormai vecchio da crepare e voi non gli avete sempre lavorato?!”.

Non mancavano però quelli che si serravano nelle spalle e continuavano la loro strada; erano per lo più vecchi proprietari, legati come mio zio dalla stessa regola di vita, i quali si facevano già le carte per andare a Trieste.

Contenti sopratutto erano quegli altri; e questo mi urtava. Franjo era adesso lui a pagarmi da bere; uno dei Chersi mi aveva ridato il saluto; Rozzan non sapeva più come parlare e appena mi vedeva dava un colpo di gomito e interrompeva il discorso con gli altri; Giovanni Bože pareva essermi divenuto più amico di prima.

Ma io non cantavo gloria; sapevo che tutto questo mi portava semmai un passo indietro. E a me non interessavano i frutti; volevo il mio, volevo la terra; e il vecchio si faceva sempre più duro e forse non avrebbe più ceduto. Perché va bene essere egoisti, ma a un certo punto viene fuori il puntiglio, viene fuori l'odio, che sa andare molto più in là dello stesso interesse. O non abbiamo forse visto molti casi di gente che, pur non cedendo allo zio in fatto di affari e di avarizia, si era mangiata per i tribunali intere facoltà, in quegli anni prima della guerra? Perciò man mano che gli altri mi appoggiavano, io mi facevo ogni giorno più triste.

Davo il verderame nella vigna di Bussìa che confina con quella dei Rossi di Pizzudo. Mi trovai nella cavedagna comune con il fratello più vecchio, a far merenda sull'erba. E allora gli chiesi che cosa, secondo lui, avrei dovuto fare. E lui, che pure non era con loro e da sempre si era dimostrato favorevole alla costituzione del Territorio Libero, mi disse: «Va da Vanja. Lui può tutto; è il segretario del partito».

«Sono già stato dal giudice.»

«Non vuol dire. È il partito che fa muovere tutte le acque. Ascolta me.»

E lo ascoltai; e il giorno dopo ero di nuovo a Buje.

Vanja è uno alto, biondo, dalle parti di Fiume. Mi ascoltava sorridendo e facendo ogni tanto di sì col capo. Poi prese il telefono in mano. Chiese del giudice; disse: «C'è qui da me uno dei fratelli Kozlovic' di Materada».

Non disse altro, e dall'altra parte gli parlarono a lungo. Alla fine disse soltanto zdravo11 e chiuse il telefono, scuro in viso. Poi mi chiese: «Sei del partito?».

Gli dissi di no e lui tornò a darmi del voi.

«Allora, come la pensate? Non vi bastano i frutti, il raccolto, e che lui si tenga pure le sue carte firmate?»

A lui non potevo certo dire “voglio il mio” e gli dissi pertanto:

«Perché un altro deve tenere la terra che non è sua?»

«E a voi che cosa importa? Se la tenga, la terra.



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