Mistero Senza Fine by Margaret Millar

Mistero Senza Fine by Margaret Millar

autore:Margaret Millar [Millar, Margaret]
La lingua: ita
Format: epub
pubblicato: 2012-01-30T03:05:25+00:00


10

Quando raggiunsero la macchina nel parcheggio, Leo aprì la portiera anteriore destra e Devon s'infilò dentro senza farselo dire. Non le piaceva dover dipendere da Leo, ma le piaceva ancora meno l'idea di guidare una macchina a cui non era abituata in una città che non le era ancora familiare.

Leo si mise al volante, accese il motore e mise in funzione il condiziona-tore d'aria. «Mi sono tenuto lontano da lei tutto il giorno perché me lo ha chiesto.»

«È stata un'idea di mia suocera» spiegò Devon. «Pensava che la gente avrebbe sparlato di noi, se ci avessero visti insieme.»

«Non mi dispiacerebbe che avessero qualcosa da dire su... Crede che abbiano qualcosa da dire?»

«No.»

«No soltanto, o non ancora?»

L'unica risposta di Devon fu un lieve movimento della testa che avrebbe potuto significare qualsiasi cosa.

Si era tolta i guanti bianchi che aveva tenuto in continuazione sin dal mattino presto. Ora li aveva in grembo, le false mani immacolate che aveva esibito in aula agli spettatori e agli estranei nel corridoio e in istrada. Le sue vere mani, ruvide e abbronzate dal sole, con i palmi callosi e le unghie rosicchiate, le mostrava soltanto agli amici come Leo, che non ci avrebbero fatto caso, o ad altri che vedeva tutti i giorni come gli Estivar e Dulzura, che non se ne sarebbero accorti.

«Sono preoccupato per lei» disse Leo.

«Basta, non voglio che si preoccupi per me.»

«Nemmeno io lo voglio, ma non posso farci niente. Ha mangiato qualcosa?»

«Un hamburger.»

«Non è abbastanza. Lei è troppo magra.»

«Non se la deve prendere tanto per me, Leo.»

«Perché no?»

«Mi rende nervosa, impacciata. Preferisco sentirmi a mio agio con lei.»

«D'accordo. Non me la prendo. È una promessa.» Il ronzio del condizio-natore d'aria copriva il suono aspro della sua voce.

Leo girò verso nord sulla superstrada. Il traffico veniva rallentato dalla sua stessa intensità. Gli automobilisti non avevano nome, volto o altro segno di riconoscimento, tranne la loro auto: una Mustang rossa con la targa della Florida, una Chevelle azzurra, un camper VW decorato con marghe-rite, una Continental metallizzata con cui si intonava il fumo argenteo del tubo di scappamento, una Dart gialla con il tetto di vinile nero, una Mona-co familiare bianca che portava a rimorchio una barca. Era come se gli es-seri umani esistessero soltanto per mantenere in moto i veicoli, come se la loro vera identità personale si fosse trasferita dagli Smith e dai Jones alle Cougar, alle Corvair, alle Toronado e alle Toyota.

«Giri all'Università» disse Devon. «Lei abita al 3117 di Ocotillo Street, tre o quattro isolati più a nord.»

«Lo so dov'è.»

«Glielo ha detto il signor Ford?»

«Me lo ha detto lei. Mi ha chiamato un giorno e mi ha chiesto di andare a casa sua.»

«Credevo che non vi parlaste nemmeno.»

«Non ci parlavamo, infatti» ribatté Leo. «Neanche adesso ci parliamo.

Ma ci sono andato.»

«Quando?»

«Circa tre settimane fa, appena ha saputo che l'udienza sarebbe stata tenuta oggi. Bene, dopo un sacco di chiacchiere, finalmente è arrivata al punto... Voleva essere sicura che nel corso dell'udienza non saltasse fuori la morte di mia moglie. Ha osservato che era irrilevante.



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