Morire di democrazia by Sergio Romano

autore:Sergio Romano [Romano, Sergio]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Longanesi
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00

VII

Come sopravvivere

nell’economia globalizzata

Torniamo così alla globalizzazione, vale a dire a uno dei fattori che ha maggiormente accelerato la crisi dei sistemi democratici. Potrebbe formare materia di un saggio sull’imprevedibilità degli eventi umani e l’eterogenesi dei fini. Quando le nuove circostanze internazionali costrinsero gli imperi coloniali europei a riconoscere l’indipendenza dei Paesi di cui si erano impossessati nei secoli precedenti, i vecchi padroni credettero di poter conservare in altre forme le posizioni conquistate. Ma la Guerra fredda aiutò i nuovi Stati a emanciparsi dall’egemonia postcoloniale dell’Occidente. Nacque il gruppo dei non allineati, una sorta di «terza forza» che rifiutava, almeno teoricamente, di prendere partito fra i due blocchi. Tuttavia l’appartenenza al club non impedì che alcuni Paesi accettassero gli aiuti delle democrazie occidentali, altri preferissero contare su quelli dell’Unione Sovietica e altri ancora passassero, a seconda delle convenienze, da un campo all’altro. Per l’India, l’Egitto (sino alla morte di Nasser), l’Algeria e la Siria, il buon rapporto con l’Urss fu il miglior modo per dire all’Europa e all’America che il potere britannico e quello francese appartenevano al passato. Altri invece erano governati da ceti sociali che temevano l’influenza del comunismo e preferirono mantenere buoni rapporti con le vecchie potenze coloniali; ma con margini di autonomia incomparabilmente superiori a quelli di cui avrebbero potuto disporre se la Guerra fredda non avesse considerevolmente aumentato il prezzo della loro amicizia.

La Cina rappresentava un caso particolare. I comunisti avevano conquistato l’indipendenza combattendo in nome di una ideologia, il comunismo, contro una potenza coloniale, il Giappone. Ma la creazione della Repubblica popolare fu anche una restaurazione: la rinascita del Paese di Mezzo, di una grande potenza che aveva vissuto per molto tempo in uno stato di umiliante prostrazione. La Cina non sarebbe mai stata un satellite dell’Urss. Non passarono dieci anni prima che il rapporto tra Pechino e Mosca cominciasse a incrinarsi, ma gli Stati Uniti continuarono a comportarsi, sino all’inizio degli anni Settanta, come se il problema maggiore fosse quello di evitare il contagio comunista del Sud-Est asiatico. Non capirono che quei Paesi tenevano all’indipendenza più di quanto non tenessero alle ideologie e che la loro principale preoccupazione era quella dello sviluppo economico. Ce ne accorgemmo quando scoprimmo che lungo le coste meridionali del continente asiatico vi erano ormai delle «piccole tigri», capaci di straordinari balzi economici, e che la Cina, dopo le «quattro modernizzazioni» di Deng Xiaoping, pragmatico successore di Mao, stava rinunciando al modello statalista e dirigista degli anni precedenti. Anche nel caso dell’Asia il ruolo delle nuove tecnologie fu fondamentale. Grazie al buon livello dell’educazione in molti Paesi e alla rivoluzione delle comunicazioni, le nuove potenze economiche dell’Asia riuscirono a saltare alcune tradizionali tappe della rivoluzione industriale ed entrarono rapidamente nell’era postindustriale.

Il miracolo cinese coincise con la nuova fede nel mercato, nuova ideologia delle democrazie europee, e sembrò confermarne la validità. In questo «Risorgimento» asiatico, chiaramente ispirato a modelli economici occidentali, gli industriali europei e americani videro due occasioni da cogliere: la nascita di nuovi mercati, interessati soprattutto ai beni strumentali e

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