Narrazioni dell’estinzione by Elvia Wilk

Narrazioni dell’estinzione by Elvia Wilk

autore:Elvia Wilk [Elvia Wilk]
La lingua: ita
Format: epub
pubblicato: 2023-03-20T23:00:00+00:00


Il diritto di non parlare

«Credo che il cliché sia una domanda», scrive Carson, «e dico che la catastrofe è una risposta.» Nel saggio Variazioni sul diritto di non parlare, Carson descrive il catastrofico processo di Giovanna d’Arco del 1431. Spinta dalle voci mistiche nella sua testa, Giovanna ha condotto le truppe francesi a rapide vittorie militari contro le forze inglesi nel 1428 e nel 1429 ed è stata considerata dai francesi come una santa. Ma nel 1430 viene catturata dagli inglesi e processata come eretica. Durante il processo per eresia, riferisce Carson, Giovanna è stata incaricata di spiegare sé stessa a una giuria di autorità ecclesiastiche maschili poco fantasiose e intenzionate a screditarla come pazza e/o malvagia.

Le domande della giuria erano insensate. Le voci sono autentiche? Se sì, sono sante o diaboliche? Chi le ha mandate? È una o sono tante? Nella trascrizione del processo, Giovanna risponde con un rifiuto silenzioso o con affermazioni oblique come: «La luce arriva nel nome della voce», «Questo non tange il vostro processo» o «Chiedetemelo sabato prossimo». Carson descrive il comportamento linguistico di Giovanna come una ribellione al cliché. A volte l’unico modo per evitare il cliché, per inventare qualcosa di nuovo, per resistere all’ordine imposto di significato e significante, è il silenzio e, se questo fallisce, la creazione di una catastrofe semantica. Quando taceva, Giovanna non offriva alcun segnale; quando dava risposte che non rientravano nella logica delle domande, offriva rumore puro. In risposta alle ipocrisie della giuria, Giovanna aveva scelto il buco nero. Nel suo caso, il rifiuto di capitolare ha portato direttamente all’annientamento. È stata bruciata.

«La maggior parte di noi, dovendo scegliere tra caos e nome, tra catastrofe e cliché, sceglierebbe il nome», scrive Carson. «La maggior parte di noi lo vede come un gioco a somma zero, come se non ci fosse un terzo luogo in cui essere: si pensa comunemente che qualcosa senza nome non esista.» Ma naturalmente i luoghi terzi, senza nome, esistono, proprio come esistono i buchi neri. Secondo Mark Fisher, questo è il motivo per cui i buchi neri sono un perfetto esempio di weird. I buchi neri sono scientificamente dimostrabili e osservabili nonostante il buon senso. Nei pamphlet della NASA rivolti alle scuole elementari, un buco nero è definito come «un luogo nello spazio in cui la gravità tira così tanto che nemmeno la luce può uscire. La gravità è così forte perché la materia è stata schiacciata in uno spazio minuscolo». Non è una metafora, è una cosa reale che accade nell’universo, eppure trovo molto difficile conciliare questa spiegazione con la mia comprensione della fisica basata, ad esempio, sulla mia esperienza di vita quotidiana.

Per spiegare cosa intende per weird, Fisher contrappone al buco nero la figura del vampiro. Al contrario del buco nero, che è sconosciuto ma esiste, il vampiro è una figura inesistente ma del tutto familiare, basata su un insieme di concetti comunemente intesi, delle storie. Un vampiro può essere soprannaturale, spiega, ma non è weird. I buchi neri sono weird perché sono naturali.



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